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Incendio nel parco – 10

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Dieci
 
Un’oretta dopo, Valcorvina rientra nella stanza, seguito da Alberghetti e da sua Eccellenza, che sembra di umore più tranquillo. Il questore chiama un commissario lì presente, dandogli l’ordine di andare a prelevare a casa la moglie dello Spizzichino.
 
– Mi consenta, Eccellenza, ma se fossi in lei, manderei anche qualcuno a sorvegliare l’aereoporto e le stazioni, sa…
 
– Troppo… è vero, come si dice… giusto, Valcorvina, troppo giusto! Anzi, facciamo così: prenda lei le misure… è vero, come si dice… necessarie!
 
Detto fatto, tutti si muovono seguendo le indicazioni del commissario Valcorvina, anche se non capiscono bene il ruolo che hanno in tutta quella faccenda.

Il giorno dopo, si ritrovano tutti nell’ufficio del questore, in attesa dell’arrivo della moglie dell’antiquario assassinato.

 
Alberghetti, seguito dalla vedova, scortata a sua volta da un agente, fa ingresso nella grande sala settecentesca che fa da ufficio al capo della Polizia e fa sedere la donna tra i vari funzionari che l’osservano incuriositi. 
 
Qualcuno fa per parlare, ma Valcorvina, che con noncuranza sta sbucciando e sbocconcellando un’arancia, però, ruba il tempo a tutti:
 
– Allora, signori, voi vorreste subito una risposta da me, invece io inizierò con una domanda a tutti voi, sapete a quanto ammonta il patrimonio del defunto?
 
Il questore fa per rispondere, ma poi sorride e lascia continuare Valcorvina, facendo un gesto con la mano.
 
– Grazie Eccellenza. Allora dicevo che, dopo alcuni rapidi accertamenti, è risultato che la vittima possedeva una catena di negozi di antiquariato a Roma, numerose case sparse un po’ in tutta Italia per un valore complessivo di svariati milioni di euro; senza contare poi tutti gli intrallazzi nell’ambito del contrabbando con l’Est europeo. Dunque la sua eredità era sommamente appetibile. Tutte queste informazioni sono state verificate da una recente indagine condotta dalla Guardia di Finanza, e non abbiamo idea di quanti altri traffici abbia avuto con altri Paesi grazie, crediamo, al commercio di stupefacenti, ma lo verremo a sapere molto presto.

– Molto probabilmente lo sa la vedova, vero signora? – Continua, girandosi verso la donna seduta su una scomoda sedia di legno scuro che le fa quasi da gabbia, cingendole i fianchi. La donna non lo degna nemmeno di uno sguardo, fissando un angolo vuoto della stanza.

 
– Dicevo, dunque, che il tutto era appetibile, ma c’era il problema di mettere fuori gioco quel disgraziato e lì è entrato in gioco il direttore del carcere, grande amico della Simonacci, anzi direi amico molto intimo…
 
La donna si alza, offesa, ma in quel momento il commissario lancia sul tavolo delle foto che ritraggono i due in posizioni abbastanza eloquenti, stampate dai filmati di una telecamera interna di un club privé della capitale.
 
– Vede signora, abbiamo avuto le copie dalle registrazioni video in quel locale, le riprese sono fatte per garantire il club da eventuali problemi di traffico di stupefacenti, sono stati ben felici di collaborare con noi…
 
Il questore guarda Valcorvina e, rigirando una matita tra le mani, gli pone una domanda:
 
– Ma come sa che si tratta di… è vero, come si dice… omicidio per interesse? Qui non ci sono che prove indiziarie…
 
– Vede, Eccellenza – replica il commissario –, adesso ci arrivo, mi conceda di sviluppare il mio ragionamento…
 
Luca si siede e guarda la donna dritta negli occhi, mentre lei cerca invano di sostenere il suo sguardo:
 
– Una cosa è chiara, non potremo essere sicuri finché non avremo in mano le ricevute delle ultime transazioni che questa donna, non molto furba in verità, ha già cominciato a fare. Ma come si fa a capire che è stata lei il mandante dell’omicidio e non qualcun altro? È semplice: il suo amico, il direttore del carcere, ha escogitato tutto, contattando il Gigante, che conosceva bene dato il suo andirivieni a Rebibbia… A Barattieri bastava dare poche migliaia di euro per uccidere una persona facile trovare da sola, visto il caratteraccio che si ritrovava. Spizzichino, con seri ed evidenti problemi di alcolismo e di socializzazione, amava vestirsi di stracci e, assumendo le sembianze di un clochard, girava per Roma sfogando la sua rabbia nei confronti del mondo, che lo costringeva a possedere un mucchio di soldi e non poterseli godere per la troppa avarizia. Era facile per chiunque avvicinarlo, ucciderlo e bruciarlo per far sparire le prove, vero signora?
 
La donna si alza di nuovo e guarda il commissario puntandogli il dito contro:
 
– Lei non ha nessuna prova! Io sono innocente, voglio il mio avvocato!
 
– Oh, lo avrà, madame, anzi lo chiamiamo subito… ma volevo aggiungere ancora una cosa: quando si avvelena qualcuno con il cianuro, com’è quasi certo che è stato fatto, si deve cercare di eliminare tutti i resti della persona in questione, altrimenti all’esame autoptico vengono fuori le tracce; soltanto in caso di una completa distruzione delle cellule del corpo ciò diventa impossibile, ma questo non è stato, visto che per vostra sfortuna avete dimenticato che anche in piena notte ci sono persone che girano per Roma, e per nostra fortuna il cinese, appassionato di jogging, vi ha fregato, facendo arrivare i pompieri prima che il cadavere  di Spizzichino finisse completamente carbonizzato.
 
Valcorvina lancia sul tavolo la cartelletta che reca i referti della scientifica che il questore va subito a leggere.
 
– Voi, voi… – fa la donna, balbettando e fissando il commissario – non avete alcuna prova, come potete fare simili insinuazioni! Io non ho avvelenato nessuno!
 
– Ah, lei sicuramente non ha avvelenato suo marito, ma l’ha fatto il Gigante, su istruzioni di Serristori, dandogli la birra… ed ecco che arriva il prode dottor Bianchetti con le risposte fresche fresche delle analisi…
 
Il medico porge il referto al commissario, che lo ringrazia dandogli una pacca sulla spalla.
 
– Bene, presenza di cianuro di potassio, sia nei residui di una bottiglia di birra sul luogo dell’incendio, che nelle cellule dello stomaco di Spizzichino! E nientemeno, ancora cianuro di potassio per lo stesso Serristori! – E Valcorvina strizza l’occhio alla Simonacci, quasi si stesse divertendo.
 
– Ma torniamo a noi: il suo amante si rende conto che sta andando troppo in là e che, nonostante la sua bellezza e la sua futura eredità, forse il gioco non vale più la candela. Decide allora di tirarsi fuori dal gioco; prima però elimina l’esecutore dell’omicidio, il Gigante, perché potrebbe indicarlo come quello che gli ha dato i soldi. Come abbia fatto non abbiamo ancora avuto modo di appurarlo, ma non dubiti che ci riusciremo. Lei però non vuole abbandonare, perché troppo vogliosa di entrare in possesso dell’eredità di suo marito. E così, per evitare problemi di coscienza al Serristori, che potrebbe sempre decidere di denunciarla, lo viene, in tutta segretezza, a trovare in carcere e fa con lui un ultimo brindisi… al cianuro, vero?
 
La donna, impietrita, non gli risponde neanche.
 
– Ma domani avremo una risposta decisiva ai pochi dubbi residui… – E Valcorvina tira fuori una convocazione alla lettura del testamento di Spizzichino, prevista per l’indomani, trovata nel cassetto della scrivania del direttore del carcere.
 
A questo punto il questore, dopo qualche “… è vero, come si dice…” di troppo, convalida l’arresto della Simonacci, mentre tutti si affrettano a stringere la mano al commissario.
 
Il giorno dopo si presenta più uggioso ancora di quanto lo è stato negli ultimi giorni, con la pioggia mista a un forte vento di maestrale, che fa maledire tempo e governo a chi deve uscire. Davanti al palazzo del notaio Politi, i caporioni della Polizia si fanno strada tra la folla di curiosi e giornalisti venuti ad assistere all’apertura del testamento di Samuele Spizzichino. Davanti a una sala semivuota, la moglie della vittima, scortata da alcuni agenti, partecipa all’apertura della busta.
 
Il vecchio notaio inizia a leggere le ultime volontà del vecchio antiquario:
 
Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicino, compresa mia moglie che tanto si è prodigata a tradirmi con numerosissimi uomini, e i miei parenti, che non si sono mai fatti vivi se non per chiedere prestiti.
 
Perciò ho deciso di devolvere l’intero mio patrimonio alla comunità ebraica di Roma, che saprà gestirlo nel migliore dei modi.
 
In fede
 
Samuele Spizzichino
 
La Simonacci lancia un urlo e improvvisamente ha un mancamento: si rende conto che tutto quello che ha commesso è stato inutile… mentre Valcorvina trattiene a stento un sorriso guardando il suo amico di sempre, Alberghetti, dritto negli occhi.

Subito dopo, il questore chiama a sé Luca:

– Commissario Valcorvina! Questa è stata… è vero, come si dice… una ciliegina sulla torta della sua carriera. Le farà piacere sapere che, in seguito a proficui contatti con il ministro degli Interni, ho sulla mia scrivania la lettera con la sua… è vero, come si dice… nomina a commissario capo! E le assicuro che ho tutta l'intenzione di firmarla, appena tornato in ufficio!


– Eccellenza, io ringrazio infinitamente lei e il ministro per la considerazione – gli risponde Valcorvina –, ma non sono sicuro di poter accettare… Vede, il mio lavoro, quello che mi piace, è sul campo, e una nomina a commissario capo vorrebbe dire un lavoro più amministrativo che di indagine vera e propria…

– Come al solito, Valcorvina, ha ragione lei, ma… è vero, come si dice… mi prometta che ci penserà…

– Non dubiti, Eccellenza, non dubiti! – E, preso di nuovo sottobraccio Mimì, si allontana con lui, sussurrandogli:

– E che, sono scemo? Commissario capo… figurati! Tutto il giorno a colloquio con Lattes e mieles(*)

(Fine)


(*) Questo è il soprannome del questore, che in realtà si chiama Lattes, come sicuramente ricorderete da uno dei racconti precedenti…

Written by matemauro

23-05-2010 at 12:02

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Incendio nel parco – 9

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Nove
 
A parecchi chilometri di distanza da casa Valcorvina, il Gigante sta rimuginando sulla vita che dovrà passare in carcere, se andrà avanti a coprire il suo mandante. Cazzo, quei due sanno il fatto loro, lo hanno già incastrato pensando che sia l’unico implicato nell’omicidio, ma lui parlerà, oh si che parlerà, e chi se ne frega dei soldi ricevuti… quelli, in carcere, e soprattutto con una condanna a vita, vogliono dire ben poco…
 
Verso le ventidue, appena prima che si spengano le luci, si spalanca la porta della sua cella d’isolamento, entra una guardia, stranamente gentile, che gli porta da bere… incredibile: una birra fresca! 
 
– A cosa devo l’onore a quest’ora, superiore(*)?
 
– Qualcuno ha deciso di farti un regalo, ma se non la vuoi me la berrò io!
 
– Lasciala qua, non ho detto mica che non la voglio!
 
La guardia se ne va, mentre Barattieri lo osserva attentamente. Dev’essere uno nuovo, pare un tipo strano… chissà…
 
Il Gigante guarda la bottiglia fresca, appoggiata su quella specie di tavolino che hanno in cella, che trasuda umidità. Fa per afferrarla, poi ripensa al vecchio ebreo e gli passa la voglia di bere; hai visto mai che gli volessero fare lo stesso scherzetto… La guarda. Non gli hanno neanche fatto saltare il tappo, poi si accorge che è di quelli nuovi che si svitano.
 
Certo, in cella, nonostante che fuori sia autunno avanzato, fa caldo… La riguarda, ancora titubante, e fa per svitarne il tappo. Si ferma, la guarda in controluce. Infine decide: odorerà il contenuto e se sente qualcosa di strano la butterà nel gabinetto, non è mica così deficiente, lui. Svita il tappo e sta per poggiare il naso all’imboccatura, quando un bagliore accecante lo colpisce in piena faccia, insieme a una gragnuola di schegge di vetro che si conficcano nel suo brutto ceffo. Non ci vede più, sta per cadere, quando sente entrare qualcuno, cerca di gridare ma avverte un fendente che lo raggiunge, poi un altro, un altro ancora… fino a che tutto attorno a lui diventa nero, e cade rovinosamente a terra.
 
La mattina dopo, di buon mattino, una vecchia Alfetta blu scuro fila sulla tangenziale, diretta a Rebibbia. Alla guida Vacchetta, a bordo il commissario Valcorvina (che per una volta non ha da ridire sulla velocità tenuta dal guidatore) e il giudice Alberghetti, ambedue con la faccia scurissima.
 
Assieme a loro arriva alla casa circondariale anche il questore, scortato da due auto civetta; neanche si degna di salutare il commissario e rapidamente si infila nell’ufficio del direttore. Valcorvina pensa che questo è un brutto segno, visto che è lui a condurre le indagini sul caso Spizzichino.
 
Nell’anticamera della direzione Luca nota un gruppetto di rappresentanti delle forze dell’ordine, mentre dall’altra parte due medici legali si consultano col vicequestore… e tutto questo per un omicidio in carcere? Vabbe’, salterà qualche testa, ma il commissario non ha mai visto un bailamme del genere per la morte di un detenuto… che sta succedendo?
 
Gli si avvicina, finalmente, un tizio che, allungando una mano, si presenta:
 
– Commissario, sono Alberto Marini, il vicedirettore della sezione maschile, mi dispiace informarla che il direttore è morto…
 
– Morto il direttore?!?!?! Ma non era stato ammazzato il Gigante?
 
– Sì, ma sembra che il direttore si sia suicidato poco dopo. Dai primi indizi sembra cianuro.
 
– Bene, bene… – mormora Valcorvina tra sé e sé, dopo aver riflettuto un attimo. Ma la riflessione deve averla fatta a voce un po’ più alta del necessario, tanto che viene ripreso dal questore, che all’improvviso è comparso accanto a lui.
 
– Ma come, commissario, cosa dice! Non si… è vero, come si dice… vergogna?
 
– Dico, Eccellenza, che la storia è più complicata di quanto ci sia sembrato finora, ma non si preoccupi: fra un po’ avrò in mano tutte le tessere del mosaico, mi creda, ho solo bisogno di pochissimo tempo.
 
– Commissario – lo interrompe il questore –, tempo… è vero, come si dice… non ne abbiamo più, qui le cose hanno preso una… è vero, come si dice… piega tale che non si può più aspettare… è vero, come si dice…, mi creda… – e, da sopra i grossi occhiali di forma squadrata, il rappresentante dello Stato scruta con aria preoccupata, ma ovviamente senza tralasciare il suo intercalare preferito, il più famoso commissario romano.
 
– Eccellenza, lei ha ragione, ma se mi concede un attimo in privato, vedrò di chiarirle il mio pensiero; inoltre sarebbe il caso che partecipasse al colloquio anche il giudice Alberghetti.
 
– Va bene, Valcorvina, almeno questo… è vero, come si dice… glielo devo, per tutti i successi che ha ottenuto in passato, anche se stavolta… è vero, come si dice… sembra che la situazione… è vero, come si dice… le sia sfuggita di mano…

(Continua)


(*) Per chi non è addentro al linguaggio carcerario: “superiore” è l'appellativo che tutti i detenuti sono obbligati a utilizzare quando si rivolgono alle guardie…

Written by matemauro

21-05-2010 at 23:23

Pubblicato su racconti, valcorvina

Incendio nel parco – 8

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Otto
 
I due vengono avvicinati da una guardia carceraria pelata, sulla cinquantina, che li conduce attraverso innumerevoli corridoi, intervallati da cancelli color grigio ferro, comandati elettricamente, che al loro passare si aprono e si richiudono alle loro spalle con un clangore infernale. Numerose telecamere di sorveglianza sono montate sulle pareti, ma a parte il poliziotto che li accompagna, non incontrano anima viva.
 

Dopo una passeggiata che a Valcorvina sembra essere durata un’intera vita, finalmente giungono di fronte a una porta sulla quale c’è un cartello “Sala colloqui”. Arrivati lì di fronte, la guardia carceraria si arresta e fa:
 
– Ecco, il Barattieri vi aspetta qui. Io rimango di guardia fuori, ma state tranquilli, all’interno c’è un dispositivo audio/video di sorveglianza, quindi non correte alcun pericolo…
 
I due entrano nel locale e all’interno, impossibile non notarlo, scorgono un omone, un gigante, appunto il suo soprannome, alto più di due metri, dalle braccia enormi come prosciutti di San Daniele, seduto a un tavolo lungo almeno cinque metri che però, comparato con le dimensioni dell’uomo che vi siede accanto, sembra quasi scomparire.
 
– Buon giorno signor Barattieri, sono il commissario Valcorvina, questo è il giudice per le indagini preliminari, dottor Alberghetti.
 
L’uomo si erge in tutta la sua statura e, dopo essersi asciugato il cranio rasato con un fazzoletto, porge la mano ai due, ostentando un pallido sorriso:
 
– Buon giorno signori, aspettavo la vostra visita…
 
– Ma davvero! E come mai, se posso chiedere? – Gli domanda, quasi stupito, un interessato commissario.
 
– Beh, vede commissario, a volte si hanno delle premonizioni e stanotte ho sognato che due investigatori sarebbero venuti a trovarmi, mi sentivo così solo! – E ridacchia, mostrando i denti incapsulati che brillano, pure alla scarsa illuminazione della stanza.
 
– Effettivamente abbiamo deciso di anticipare il Natale ed essere più buoni quest’anno… e così abbiamo fatto in anticipo il giro delle prigioni per portare doni ai detenuti… – fa sardonicamente il commissario.
 
– E che regalo mi avete portato, commissario? – replica il detenuto, guardando Luca fisso negli occhi.
 
– Una denuncia per omicidio premeditato, se non mi fai cambiare idea. Adesso bando alle ciance, smettiamola di scherzare! Siediti e raccontami cosa hai combinato.
 
A questa affermazione, l’omone sbianca di colpo e, balbettando, risponde al commissario:
 
– Io… non ho fatto nulla, credetemi… ho solo dato da bere a un uomo…
 
– E poi lo hai strangolato e bruciato per far sparire le tracce, vero? – Con noncuranza, Valcorvina inizia a camminare avanti e indietro per la stanza, in modo da far innervosire maggiormente Barattieri.
 
– Io, veramente… non ho… voglio un avvocato, subito!
 
Valcorvina si ferma nel suo andirivieni e improvvisamente saluta l’uomo con la mano:
 
– Va bene, ciao Gigante, preparati a concordare con il tuo avvocato una bella linea di difesa, perché sei nei guai e pure grossi… ciao ciao! – e trascina via l’incredulo Alberghetti, che di tutto l’accaduto ha capito poco e niente.
 
Usciti dalla piccola porta che poi viene subito chiusa alle loro spalle, Valcorvina parla brevemente con la guardia carceraria:
 
– Senti, agente, quanti ne ha picchiati finora il nostro amico?
 
– Beh, commissa’, in soli tre giorni ha procurato una rissa gigantesca, mandando quattro suoi “colleghi” in infermeria, ora ovviamente è in isolamento… fa un po’ paura vero?
 
– Sì, è bruttino il nostro skinhead, ma ho visto di peggio nella mia carriera… grazie di tutto!
 
Usciti dal carcere, evitando accuratamente di passare per la direzione, i due tornano all’Alfetta che li ha accompagnati e fanno ritorno alla sede della squadra mobile. Alberghetti nel frattempo rimette assieme i propri pensieri, quello che ha visto oggi è un Valcorvina che ancora non conosceva, un metodo di interrogatorio che non gli aveva mai visto usare: l’amico è davvero un campione nell’arte dell’investigazione.
 
– Senti Luca – fa il magistrato al commissario –, sei sicuro di essere sulla pista giusta o gli hai soltanto voluto mettere paura?
 
– Vedi caro Mimì, negli anni ho imparato a osservare e a riflettere: la reazione di Barattieri al nostro arrivo è stata chiarificatrice, il Gigante quasi si aspettava un nostro arrivo, perché lui è un violento, ma non un vero e proprio assassino, e quindi temeva che prima o poi l’avremmo scoperto…
 
– Quindi, il caso secondo te è chiuso?
 
– Ma neanche per sogno, caro il mio giudice, siamo appena agli inizi: adesso abbiamo l’esecutore materiale, anche se un po’ maldestro. Io invece voglio il responsabile principale, il mandante, che non è certamente Barattieri, e sono sicuro che se sapremo agire con sagacia e intelligenza sarà lui stesso a dirci chi è. Andiamo adesso, è tardi e voglio tornare a casa…
 
(Continua)

Written by matemauro

20-05-2010 at 19:16

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Incendio nel parco – 7

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Sette
 
Nella macchina guidata da Vacchetta, che, per il rimprovero ricevuto qualche giorno prima dal commissario, adesso sembra stia conducendo un risciò su un tappeto di uova, Alberghetti, ignaro della destinazione, interroga Valcorvina:
 
– Senti, ma dove stiamo andando adesso?
 
– Oh, Mimì… ma sei proprio noioso! Andiamo a trovare un tizio, va bene? Sperando di trovarlo in casa, naturalmente!
 

Per le semideserte vie di Ostia l’umidità, in questo periodo dell’anno, è talmente densa da potersi tagliare con il coltello; ed è proprio questa la sensazione dei due, mentre si avvicinano a un anonimo villino, dall’intonaco esterno mezzo cadente, che si affaccia proprio sul lungomare. Il cielo si sta oscurando, e completa così una giornata che va peggiorando di ora in ora. 
 
Fermatisi davanti a un portone in ferro battuto, Valcorvina suona a un vetusto campanello, al quale è appiccicata una consunta etichetta che riporta il nome di Barattieri. Nessuna risposta. Dopo numerosi squilli, i due stanno per andarsene, quando una vecchietta, che si è sporta dal balcone del villino adiacente, li apostrofa con voce squillante:
 
– Ehi, voi due! Cercate il signor Vittorio?
 
Alberghetti, che finalmente ha capito l’antifona, si volta verso la signora, mostrando uno dei suoi migliori sorrisi:
 
– Sì signora, sa per caso dove potremmo trovarlo?
 
– E come no… lo trovate a Rebibbia, in carcere! L’hanno portato via un paio di giorni fa! – E con uno scatto veloce rientra e richiude, sbattendole, le persiane della porta-finestra.
 
Valcorvina e Alberghetti rimangono di stucco: ma come, è in galera e loro non ne sanno nulla?
 
– Eh, commissario, ma non hai controllato al computer lo status di questo sospettato?
 
– Senti, Mimì, non rompere. Lo sai che non ci ho pensato, se no non ci troveremmo qui…
 
– Vabbe’, torniamo alla base, dài, che fa un freddo boia!
 
– Io invece andrei a Rebibbia… – e fa per tornare verso l’Alfetta nella quale Vacchetta li sta aspettando, abbastanza infreddolito.
 
– Commissario… bisogna avere un permesso per visitare qualcuno in carcere, mica possiamo andarci così.
 
– Senti Mimì – fa Valcorvina –, io ho dimenticato di controllare se Barattieri per caso era in carcere, ma tu ti ricordi di essere un magistrato? E che lo sei a fare, se non sei capace di farci avere ’sto permesso a spron battuto? – E, preso amichevolmente sottobraccio il giudice, lo conduce verso l’auto.
 
Il commissario ha una strana sensazione, ogni volta che si reca in un carcere: si sente sempre indeciso se i muri e i cancelli che si vedono sono lì per tenere dentro quelli che stanno dentro, ovvero per tenere fuori quelli che stanno fuori…
 
Comunque lì, al cancello principale, trova il direttore della sezione maschile, bardato con un lungo impermeabile scuro, ad aspettarli e ad accoglierli.
 
– Buon giorno signori! – L’alto uomo di mezza età, dall’aspetto un po’ piacione, come si dice a Roma, va incontro ai due poliziotti porgendo loro la mano. – Sono Vauro Serristori, il direttore…
 
– Piacere – risponde Luca –, io sono il commissario Valcorvina, della squadra mobile, e questo è il giudice Alberghetti; siamo i responsabili delle indagini per l’omicidio dell’antiquario Samuele Spizzichino.
 
– Non c’è bisogno di presentazione, commissario, ormai lei è conosciuto ovunque, se non altro per la soluzione dell’omicidio del tecnico tedesco(*), lei è considerato ormai il commissario Montalbano de noantri
 
– A me, questo mi sta già antipatico… – sussurra Valcorvina ad Alberghetti, senza farsi sentire dal direttore. – Se continua così…
 
– Comunque, commissario, a parte gli scherzi, a cosa devo la vostra visita?
 
Luca si apre il pesante cappotto mentre entrano nell’ufficio della direzione, ben più caldo dell’esterno:
 
– Vede, direttore vorremmo parlare con un vostro ‘ospite’, il signor Vittorio Barattieri…
 
– Ah, il ‘Gigante’! E cosa ha combinato ancora? Questo è uno dei detenuti più difficili che abbiamo, è qui per spaccio di stupefacenti, pensate che vendeva ecstasy davanti alle scuole… ma vediamo cosa possiamo fare!
 
– Vede direttore, per ora è soltanto un sospetto, ma avrei proprio bisogno di vedere quest’uomo, credo che abbia a che fare con l’omicidio Spizzichino.
 
– Ah, davvero?
 
– Ripeto, per ora nulla di concreto, purtroppo, ma forse, chissà, con il suo aiuto…
 
– Penso, egregi colleghi, e mi perdonerete se uso questo termine, che a stretto rigor di logica non ci si attaglierebbe, che non ci sarà nessuna obiezione da parte mia se andrete a conferire col signor Barattieri… mi raccomando unicamente la discrezione. Vi accompagnerà l’agente Sarti… buona fortuna! Ah, e naturalmente vi aspetto per un caffè alla fine della chiacchierata…
 
(Continua)


(*) Vedi il precedente racconto Valcorvina e il mistero del centro benessere.

Written by matemauro

19-05-2010 at 11:20

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Incendio nel parco – 6

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Sei
 
Il mattino successivo, un commissario spettinato e dall’aria non molto riposata entra nel vecchio palazzotto sede della squadra mobile, dove trova un magistrato vestito invece impeccabilmente, con un completo fumo di Londra e una cravatta grigio antracite, che lo aspetta nella sua stanza.
 
– Buongiorno Luca! Come andiamo oggi? Nottataccia? – Gli fa Alberghetti, dopo aver visto il suo aspetto.
 
Valcorvina non lo degna neanche di un commento, sapendo che se dà l’impressione di essere arrabbiato, o anche soltanto infastidito, per lui è la fine: il carissimo amico può trasformarsi in poco tempo nella più grande pettegola di tutta Roma e perfino di mezza Italia, parlando ai quattro venti delle notti brave del commissario: meglio evitare… Sedutosi dietro la sua scrivania, decide di iniziare una ricerca su gruppi neonazisti di Roma e di loro eventuali sedi nella zona di piazza Vittorio.
 
Alberghetti si avvicina e guarda al monitor cosa sta facendo l'amico, aggrotta le sopracciglia e poi gli chiede:
 
– Ma Luca, non avevamo deciso di tralasciare questa pista, dopo quello che ci ha detto la Simonacci?
 
– Si Mimì – risponde il commissario continuando la sua ricerca –, ma ho una strana sensazione, e tu lo sai che le mie sensazioni spesso si rivelano foriere di grosse scoperte, o no?!?!
 
– Va bene commissario, fai pure, anche se secondo me non approderemo a nulla. Anzi, se permetti, io tornerei nel mio ufficio, ché ho un po’ di pratiche da sbrigare e di ordini di cattura da firmare… – replica, con fare piuttosto seccato dall’atteggiamento di Luca.
 
– Vai, vai pure, a me non so ancora quanto ci vorrà… ti faccio sapere, eh? – Gli risponde, manco alzando lo sguardo dallo schermo.
 
Mentre Alberghetti sta uscendo, si precipita nella stanza un trafelato Vacchetta, urtando il magistrato:
 
– Commissario, commissario… ah signor giudice, c’è anche lei… meglio! Abbiamo delle immagini di piazza Vittorio nel momento dell’incendio! Sono state riprese dalla telecamera di sorveglianza di un istituto di credito; forse per il forte vento si è spostata e non inquadrava più l’entrata della banca, ma la piazza! Non sono chiarissime, però si vedono quattro giovani che si allontanano da una panchina sulla quale siede proprio Spizzichino!
 
– Bene, Vacchetta! Dove la possiamo visionare?
 
– Ho già montato il nastro in sala riunioni, commissario!
 
I tre si precipitano in sala riunioni, fiduciosi che quelle immagini chiariranno l’accaduto della notte in cui aveva perso la vita l’antiquario ebreo. Dallo scorrere delle immagini, però, poco si capisce: un po’ per via del bianco e nero, un po’ per via della lontananza e della mancata messa a fuoco (la telecamera era ovviamente tarata per i pochi metri che la separavano dall’entrata della banca, non per la trentina che corrono fino ai giardini), l’unica cosa che si vede sono quattro sagome che si allontanano da una panchina sulla quale siede quello che a malapena, e soltanto perché sanno che è lui, si riesce a riconoscere come Samuele Spizzichino. Non si nota nei quattro giovinastri alcuna caratteristica saliente, salvo in uno, che a confronto degli altri sembra un gigante, sia in altezza che in corporatura. Se gli altri tre fossero di altezza e corporatura normali, quello dovrebbe essere alto un paio di metri e pesare ben più di un quintale…
 
I tre continuano a guardare lo schermo, dove sta accadendo qualcosa di strano: qualche minuto dopo che i quattro sono scomparsi su per via Napoleone III, in direzione di Termini, uno dei quattro, sembra il gigante, ma è difficile a dirsi, visto che non ci sono punti di riferimento, torna indietro e si avvicina alla panchina dove Spizzichino è sdraiato, forse ubriaco fradicio o forse già morto. Gli si avvicina e gli mette per qualche minuto le mani intorno al collo, poi tira fuori dall’interno del giubbotto qualcosa che sembra una piccola tanica, ne sparge il contenuto sul corpo dell’antiquario e intorno alla panchina, infine tira fuori un accendino e, allontanatosi a distanza di sicurezza, dà fuoco a un foglio di carta trovato per terra e lo lancia in direzione della panchina. Le fiamme divampano improvvise.
 
– Cazzo! – Esclama Alberghetti, usando un’interiezione che non appartiene certo al suo lessico normale. – Ecco l’assassino! Ora però si tratta di capire chi è…
 
– Già… – mormora Valcorvina – chi è? Aspetta… Vacchetta, ferma il nastro e torna un po’ indietro, nel punto in cui si vede il viso.
 
L’agente esegue e Valcorvina prosegue:
 
– Ora, che dite? Da questo fermo immagine riusciremo a ricavare una foto decente del viso di questo omone? – Poi improvvisamente esclama: – Ma no! Dopotutto non ce n’è bisogno! Io questo qui lo conosco! Vacchetta, fammi una stampa di questo fermo immagine e portamela in stanza! Vieni Mimì!
 
E i due si precipitano di nuovo nella stanza del commissario, dove Luca comincia a interrogare di nuovo il database della polizia, cercando i dati registrati a nome di Vittorio Barattieri, detto “Gigante”.
 
Esattamente nel momento in cui compare sul video la foto segnaletica del Barattieri, entra Vacchetta con un foglio di carta in mano: è la stampata richiesta da Valcorvina; i tre confrontano l’immagine sullo schermo con quella sulla carta e cercano i punti di similitudine, che ci sono, anche se non moltissimi. Quello che però sembra tagliare la testa al toro sono le caratteristiche fisiche del Barattieri, che compaiono sul monitor insieme alla foto segnaletica: altezza due metri e quattro centimetri, peso 127 chili. Paiono esserci pochi dubbi che l’assassino dell’antiquario sia lui.

(Continua)

Written by matemauro

17-05-2010 at 22:37

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Incendio nel parco – 4

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Quattro
 
Il commissario e il giudice, camminando tra le antiche viuzze del ghetto, cercano di trarre qualche conclusione dalla chiacchierata con la ragazza: evidentemente la vittima non era un uomo “per bene”, qualunque cosa ciò voglia dire, ma non per questo meritava di morire; chi potrebbe aver organizzato tutta quella messa in scena?
 
– Luca, e se fosse una vendetta degli usurai?
 
Il commissario, pensieroso, non vuole escludere nulla, anche se a naso non gli sembra la pista giusta:
 
– Va bene, proviamo…
 
Dopo aver girato per alcuni negozi di rigattiere e alcuni di antichità dove è noto che viene praticata l’ignobile pratica di prestare soldi “a strozzo”, i due se ne tornano sui loro passi, visto che anche da quel versante non sembra ci siano tracce ragionevoli.
 
– Senti, Mimì…
 
– Dimmi Luca…
 
– Aperitivo? Forse viene ci viene un’altra idea…
 
– Va bene, ma uno solo, altrimenti ci sfuggono anche le poche tracce che abbiamo in testa…
 
Davanti a un Negroni, Mimì si rivolge all’amico guardando fuori dalla piccola finestra opaca che dà sulla piazzetta:
 
– Luca, e se in questo strano omicidio c’entrasse un aspetto che finora non abbiamo considerato? Voglio dire, se fosse opera di qualche gruppo di skinheads?
 
Il commissario lo guarda con aria sorpresa, come se si chiedesse perché quell’idea non fosse venuta a lui, poi risponde:
 
– Si, certo, potrebbe essere questo il motivo, perché no?
 
Luca e Mimì tornano in centrale e affidano a Vacchetta il compito di eseguire una ricerca sulle bande di naziskin presenti in città e controllare le loro mosse. Squilla il telefono:
 
– Commissario, c’è qui la signora Simonacci, la moglie… cioè la vedova di Spizzichino…
 
– E falla salire, allora, che aspetti?! – È la brusca risposta.
 
Quella che si presenta agli occhi di Luca e Mimì è una giovane donna dai lineamenti nordici, bionda, occhi azzurri, fisico alto e atletico. Porta un completo nero per segnare il lutto, ma con aria ben poco tragica entra nell’ufficio di Valcorvina ed esordisce bruscamente:
 
– Buon giorno, sono Claudia Simonacci, la moglie di Samuele Spizzichino. Voglio subito chiarire che sono separata da lui da quasi due anni e che non lo vedo da molti mesi. Quando la polizia mi ha rintracciato mi trovavo a Tenerife per una breve vacanza. Sono tornata più rapidamente possibile…
 
Il commissario e il magistrato si alzano porgendole la mano, è veramente una bella donna. Di fronte alla sua bellezza, Valcorvina sente risorgere la sua innata timidezza e, per vincerla, si costringe a pensare unicamente al caso da risolvere.
 
– Bene signora, sono contento che l’abbiamo rintracciata, le porgo intanto le mie condoglianze…
 
La donna lo guarda con espressione assente, mentre tira fuori una sigaretta da un pacchetto sgualcito e inizia a rigirarsela tra le mani:
 
– Iniziamo subito, ho bisogno di rimettermi in carreggiata, è stato comunque un brutto colpo, anche se, come ho già precisato, era finita ormai da tanto tempo.
 
– Senta signora, lei era a conoscenza delle persone che frequentava suo marito? Tenga conto che qualsiasi particolare mi potrebbe aiutare.
 
La donna, continuando a girare la sigaretta, lo guarda fisso negli occhi inclinando la testa di lato:
 
– Sì, purtroppo: quel porco era abituato a frequentare certi club di sporcaccioni che passavano le serate tra bevute colossali e sesso con squillo d’alto bordo, è stato il motivo principale per cui l’ho lasciato.
 
– Hmmm… capisco. Ma dica signora… – prosegue Valcorvina guardandola distrattamente –, non sa se, nel periodo in cui siete stati insieme, ha ricevuto lettere minatorie?
 
– Beh – gli risponde lei –, è certo che con il suo mestiere a volte capitava fregasse qualcuno sul valore di mobili o oggetti di antiquariato e qualcuno gliele ha promesse, ma non ricordo in realtà nulla di preciso…
 
– E a proposito della religione? – Le chiede Valcorvina, guardandola attentamente per cogliere un’eventuale reazione.
 
– No commissario, se mi permette questa è una strada che non porta da nessuna parte. Samuele era ebreo di nascita, ma se ne fregava del Tempio e di tutti i suoi fedeli, non l’ho mai visto partecipare alla cerimonia del sabato e consideri che sono stata sposata con lui per dieci anni…
 
Luca si alza porgendole la mano:
 
– Grazie signora, può bastare per ora, ci faremo sentire non appena avremo delle novità.
 
La donna si alza dalla sedia lisciandosi i capelli con una mano:
 
– Grazie, so che farete il possibile per trovare un colpevole.
 
E, dopo aver stretto anche la mano di Alberghetti, se ne va, di fretta com’era arrivata.
 
Rimasti soli, Luca e Mimì si guardano negli occhi senza parlare, poi Alberghetti sorride: capisce al volo che il commissario non è per nulla convinto di quel primo interrogatorio e cerca di prevedere cosa uscirà dalla sua bocca:
 
– Pensi che non dica la verità, vero?
 
Valcorvina si gratta il mento guardando l’altro per lungo tempo, poi lo degna di una risposta:
 
– No, Mimì, penso dica la verità. Non credo che sia stata lei ad ammazzarlo, ma ti giuro che c’è dentro in qualche modo e ti giuro anche che lo scoprirò!
 
– A me una cosa è sembrata strana, di quelle che ha detto, sarà una sciocchezza, ma…
 
E Valcorvina lo interrompe, quasi precedendo i pensieri dell’altro:
 
– Che abbia detto un colpevole e non il colpevole, vero? No, non è una sciocchezza, ha colpito anche me, in effetti…
 
Con fare rilassato, poi, guarda fuori dalla finestra, un cielo scuro già copre la città, segnando la fine della giornata lavorativa.

(Continua)

Written by matemauro

15-05-2010 at 13:13

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Incendio nel parco – 3

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Tre
 
Avvertire i familiari è sempre stato un compito ingrato e gravoso, anche dopo tanti anni di servizio; questo lo sa il commissario e lo sa perfino il sindaco, che per l’occasione partecipa alla triste visita accompagnato dall’assessore ai lavori pubblici,  il portaborse dell’amministrazione comunale. Il telefono della famiglia ha suonato libero per tutta la mattina, finché i funzionari hanno deciso di recarvisi di persona. La casa, un vecchio palazzo umbertino restaurato, si presenta enorme. Provano a bussare al grosso portone.
 
Niente. Nessuno in casa, neanche il personale… strano, molto strano.
 
Tornato a bordo dell’auto, il commissario parla con il sindaco, valutando se è il caso di entrare forzando la serratura per vedere se è successo qualcosa. Il primo cittadino è contrario, per paura che venga danneggiata l’abitazione e che i danni vengano poi messi in conto al comune.
 
– E va bene, signor sindaco, aspettiamo…
 
– Claudia Simonacci, grande architetto, conosciuta in campo internazionale nella progettazione di ponti… possibile che sia sparita? – Il giudice Alberghetti sta camminando su e giù per il suo piccolo ufficio, pensieroso, tanto da far temere a Valcorvina il crollo del pavimento, a causa dei tacchi dell’amico che fanno su e giù.
 
– Perché non chiamiamo il suo ufficio? – Prosegue Alberghetti – Se non sbaglio si trova vicino a piazza Venezia, potremmo farci un salto, no?
 
– Si, hai ragione. Potremmo… – e l’ispettore alza la cornetta per chiamare Vacchetta.
 
– No Luca, aspetta. – Fa il giudice – Ci andiamo a piedi, così abbiamo il tempo per riflettere.
 
Ma neanche nello studio dell’architetto Simonacci trovano nessuno. C’è soltanto una donna delle pulizie, che in un italiano improbabile dall’accento dell’est comunica loro che “io so nula, no conosco nisuno, io arivare sei di sera, pulire tutto, andare via ale dieci”… e le chiavi dell'appartamento le ha il portiere, al quale le restituisce quando ha finito. Portiere che, ovviamente, non sa nulla neanche lui:

– Non è che l'architetto mi avverte quando c’è o quando non c’è…  – brontola, in risposta alla domanda di Valcorvina.

 
Nel seminterrato del laboratorio della scientifica, il dottor Bianchetti sta eseguendo l’autopsia sui miseri resti del cadavere dell’antiquario. Non è rimasto granché da esaminare, purtroppo, ma la particolarità del caso lo convince ad andare più a fondo. Decide di eseguire delle radiografie, tecnica che in casi come questo di solito non viene usata, ma sa che quando a lavorare su un caso viene chiamato Valcorvina è meglio starci attenti, perché se il questore sguinzaglia il commissario Montalbano de noantri deve esserci sotto qualche cosa di importante.
 
Sviluppate le lastre appena scattate, il medico le appende alla lavagna luminosa dove, aiutandosi con una lente, inizia a studiare le ossa della vittima, scoprendo subito qualcosa che non avrebbe mai immaginato.
 
Rapidamente torna in sala autopsie e riprende il cadavere tirando fuori il lettino dal congelatore. Con un bisturi incide la trachea della vittima e accede alle ossa del collo dell’antiquario.
 
Improvvisamente, lascia tutto com’è e corre a prendere il telefono appoggiando la cornetta sulla lunga barba, sporca ancora della polvere delle ossa tagliate un’ora prima con la piccola fresa del laboratorio.
 
– Pronto? – Risponde Valcorvina, che è sul divano di casa insieme a Giulia; si stanno gustando un dvd con l’ultimo concerto di Maurizio Pollini, quello all’Auditorium con l’omaggio a Chopin, e giocherellando con Nerone, il gatto, nero ovviamente, che hanno salvato dal gattile un paio d’anni prima. 
 
– Sono Bianchetti, Luca, ho grosse novità…
 
– Serve che torni lì da voi?
 
– No, inutile. Ti posso però dire che se pensavi ad un omicidio avevi ragione. Prima di bruciare nel rogo l’uomo deve essere stato narcotizzato, poi soffocato da qualcuno molto forte, tanto da spezzargli le ossa del collo e quindi bruciato… ottimo come trattamento no?
 
– Già! – Risponde il commissario –. Non lo augurerei neanche al mio peggior nemico, un trattamento del genere. Mandami il rapporto appena hai finito, mi raccomando.
 
– Sarà pronto per domani, tranquillo.
 
Il vecchio ghetto ebraico a Roma è sede storica di vari negozi: abbigliamento e alimentari soprattutto, ma anche qualcuno d’antiquariato, come quello della vittima, che è uno dei più grandi. Ci si può trovare di tutto, a patto di avere un buon conto in banca, dato che non si tratta di antichità da mercatini o da rigattiere, ma di vere opere d’arte.
 
I due si trovano a passare un pomeriggio in mezzo a mobili antichi, quadri e quell’odore stantio tipico degli ambienti che vengono arieggiati una volta ogni tanto.
 
– Va bene, signora, se ha delle novità oppure se le viene in mente qualcosa può chiamarmi a questo numero… – e il commissario porge un biglietto da visita un po’ sgualcito alla vecchia ebrea, aiutante di Spizzichino, che, appoggiata ad un mobile francese del ’700 con annesso orologio, accetta il cartoncino regalando ai due un bel sorriso da commerciante in cui spicca il profilo della dentiera.
 
Usciti dal negozio, i due decidono di fare una pausa e Luca si infila, guidando Alberghetti, in un piccolo bar del ghetto, dove una giovane cameriera porta loro due caffè corretti che gli amici bevono tirando un sospiro di sollievo.
 
– Senti Luca – fa Alberghetti bevendo l’ultima goccia –, qui non caviamo un ragno dal buco, mi sembra che ci stiamo ritrovando nella Sicilia di qualche anno fa, quando c’eravamo noi e l’omertà regnava sovrana…
 
– Al tempo, Mimì, non a caso ti ho portato in questo locale… Ester! – chiama una morettina che sta servendo un vecchio dai capelli candidi e con lunghe basette.
 
– Fra un attimo sono da te! – E si gira verso il commissario, regalandogli un sorriso.
 
– Bene, grazie!
 
Alberghetti lo guarda ridendo:
 
– Cos’è, una nuova fiamma? – E gli strizza l’occhio.
 
Luca, con la faccia da santerellino, lo guarda, sistemandosi meglio sulla sedia:
 
– Ma se potrebbe essere mia figlia!  E poi lo sai, da quando c’è Giulia, le donne non le guardo neanche più… che posso farci se invece io a loro piaccio ancora? – E termina la frase con una grassa risata.
 
Intanto la giovane raggiunge i due poliziotti e, appoggiato il vassoio sul tavolo, si siede con loro.
 
– Ester, avremmo bisogno di un po’ di aiuto; tu che qui nel ghetto conosci tutti, sai qualcosa su Samuele Spizzichino?
 
La ragazza si siede più comodamente e, portando la mano destra alla folta capigliatura, inizia a girarsi una ciocca tra le dita:
 
– Sì, commissario mio, era il più ricco della zona e anche il più stronzo. Mai una mancia, solo commenti osceni, tanto che ho avvisato più volte il proprietario che non volevo più servirlo. Pensa che una volta mi ha messo una mano in mezzo alle gambe mentre servivo dei clienti, veramente un maiale…
 
– Mi spiace – fa Valcorvina –, ma sapresti dirmi se aveva dei nemici?
 
– Guarda, potrei dirti che sta sulle palle a tutti, ma di più non saprei, tesoro… volete altro da bere? Offre la casa!
 
– Grazie Ester, sei fantastica come sempre… questa è per te e mi scuso se rifiutiamo il secondo giro, ma siamo di fretta… – e consegnando una banconota da dieci euro alla ragazza se ne va con il collega, facendole l’occhiolino.

(Continua)


Colgo l'occasione per ricordare a chi fosse interessato il primo volume dei casi del commissario Valcorvina. Cliccare sull'immagine per accedere al sito dove può essere acquistato…
 

copertina valcorvina

Written by matemauro

13-05-2010 at 10:31

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Incendio nel parco – 2

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garden

Due
 
Nella stazione dei Vigili del Fuoco di Testaccio inizia a suonare l’acuta sirena che blocca lo scarso traffico di quell’ora, mentre esce un automezzo che saetta a tutta velocità davanti ai locali della zona, dai quali fanno capolino alcune persone incuriosite. In pochi minuti il caposquadra Antonini porta l’automezzo a piazza Vittorio, e lì scorgono una persona in tuta da ginnastica che si sta sbracciando per segnalare il luogo dell’incendio. Un pompiere si fionda a terra e trascina al sicuro l’asiatico, che sorridendo si complimenta con loro per la velocità d’intervento, mentre gli altri iniziano a preparare i naspi che verranno collegati ai bocchettoni per fronteggiare il muro di fiamme che intanto si sta alzando sempre di più. Dopo pochi minuti di lavoro l’incendio è sotto controllo e i pompieri iniziano a bonificare la zona.
 
Il pompiere scelto Lasagna – detto così perché è contemporaneamente una buona forchetta e lentissimo nel parlare – sta spruzzando gli ultimi getti d’acqua sotto gli alberi, quando vede una forma strana stesa su una panchina. Con il terrore di aver visto giusto, si avvicina, trovandosi di fronte al cadavere annerito di una persona. Il corpo è quasi completamente carbonizzato e la bocca aperta in un ghigno mortale fa scintillare i denti bianchissimi. Dalle orbite oculari sale ancora del fumo e i vestiti sono tutt’uno con la carne abbrustolita. Chiama immediatamente il caposquadra, che a sua volta si attacca alla radio di bordo per chiamare la polizia.
 
Mentre sempre più gente, nonostante il freddo e l’ora tarda, si sta raggruppando attorno all’area, a stento bloccata dalle forze dell’ordine, un’Alfetta della polizia arriva a sirene spiegate, frena a filo di un palo della luce strisciando la carrozzeria e da dentro si sente un urlaccio:
 
– Vacchetta, la devi piantare di guidare in questo modo, o giuro che ti faccio trasferire alla Stradale!
 
I colleghi abbozzano un sorriso, ma nessuno di loro si permetterebbe mai di scherzare sull’accaduto, dato che l’uomo in jeans e giubbotto di pelle che scende dall’auto è il commissario della squadra mobile Valcorvina, seguito dal giudice Alberghetti, suo amico e compagno di tante indagini. I poliziotti salutano militarmente, mentre i due danno cordialmente la buonasera a tutti, anche se non è proprio il massimo come nottata. 
 
– Cos’abbiamo qui? – Fa l’ispettore al sovrintendente Morelli del commissariato Esquilino, a un tiro di schioppo dal luogo dell’incendio; questi, titubante, mostra la zona dove è stato ritrovato il corpo, ora coperto da un telo bianco.
 
– Commissario, forse un barbone ubriaco sorpreso dall’incendio, altro non so, la scientifica sta iniziando i lavori.
 
– Bene, vai con gli altri a sorvegliare la zona, qui ci penso io… – E giratosi verso Alberghetti inizia a fissarlo, grattandosi il mento ornato da una barbetta corta e ispida che Giulia, sua moglie, l’ha convinto finalmente a farsi crescere.
 
– Cosa dici Mimì, è un barbone o qualcos’altro?
 
L’altro lo guarda mettendosi le mani nella tasca del giubbotto, la mente è lontana mille chilometri mentre analizza la scena.
 
– Penso di no, Luca. In una notte fredda come questa un barbone forse avrebbe cercato di andare a dormire al rifugio della Caritas che è qui vicino, ti pare?
 
– Hai ragione, Mimì, qui c’è sotto qualcos’altro e sarà proprio la scientifica a dircelo, vero dottor Bianchetti?
 
Un ometto sulla cinquantina, dalla lunga barba grigia incolta, entra nella zona circoscritta e si dirige verso i due sorridendo; l’ambiente ferale che lo circonda gli è congeniale, visto che più o meno metà della sua esistenza l’ha trascorsa in mezzo ai cadaveri.
 
– Vero, caro Luca – gli risponde stringendo loro la mano –, vedrò di fare presto, qui la squadra mobile ha bisogno di dati, prove… vero? … – e grattandosi la lunga barba si mette subito all’opera, esaminando il cadavere nascosto da teloni tesi dai poliziotti per tenere lontani gli occhi indiscreti.
 
Valcorvina lo guarda, soddisfatto della sua bravura e meticolosità, poi va a fare un giro nell’area per mettere ordine nei suoi pensieri. Altri agenti stanno fotografando ogni oggetto dell’area dell’incendio. Alberghetti lo raggiunge, altrettanto pensieroso, poi improvvisamente lo blocca con un braccio, mentre Luca sta per calpestare alcune bottiglie.
 
– Fermo, Luca. Ti puoi far male! – Valcorvina blocca il piede che stava per calpestare alcune bottiglie di birra rotte, giusto fuori dall’area interessata. Il commissario guarda un attimo per terra poi chiama due agenti:
 
– Controllate anche questi resti, non si sa mai! – Gli agenti annuiscono e si mettono subito all’opera per circoscrivere anche quell’area.
 
Alberghetti lo raggiunge:
 
– Qualche lampo di genio?
 
Il commissario prosegue per il parco, assorto nei suoi pensieri.
 
– Forse Mimì, forse.
 
Il mattino dopo, mentre Valcorvina passa il tempo a evitare i giornalisti e cercare di tranquillizzare il questore che si farà il più presto possibile, chiamano, con insolita celerità, dalla scientifica, chiedendo del commissario.
 
– Qui Valcorvina.
 
– Luca, sono Broussard. Sono qui con Bianchetti che controlliamo i reperti. Ci sono grosse novità, puoi venire da noi?
 
Il commissario dà una voce Vacchetta e insieme si dirigono verso il parcheggio riservato dove sta l’auto di servizio; nel frattempo chiama al cellulare Alberghetti e gli dice di tenersi pronto, ché lo stanno passando a prendere.
 
Appena giunti alla sede della scientifica, i due scendono le scale che li portano nel seminterrato, dove li sta aspettando lo stesso Bianchetti.
 
L’uomo ha ancora il camice verde addosso, mentre alcuni schizzi di sangue macchiano il traversone di pelle sintetica quasi a farlo sembrare il maniaco di qualche film horror.
 
– Venite, vi faccio vedere una cosa – e li conduce in laboratorio.
 
Con un paio pinzette afferra una medaglietta annerita e la fa vedere al commissario.
 
– Vedi, Luca, questa è una medaglia in uso tra i diabetici; sopra c'è scritto che la persona soffre di questa malattia e ci sono poi alcuni dati che la identificano. L’abbiamo trovata appesa al collo della vittima… anzi, dovrei dire fusa con il collo del cadavere, abbiamo dovuto toglierla con il bisturi.
 
Valcorvina non ha tempo per ascoltare tutti questi preliminari e vuole arrivare direttamente al sodo:
 
– Allora? Cos’avete trovato?
 
– Abbiamo scannerizzato i due lati, poi con un particolare software abbiamo cercato di capire quali dati vi fossero stati incisi e ci siamo riusciti…
 
– E allora, la vogliamo tirare ancora in lungo? – Esclama Valcorvina, che sta cominciando a perdere la pazienza –.  Chi è la vittima?
 
– Samuele Spizzichino, il famoso antiquario.
 
– Merda!
 
Valcorvina infila le mani in tasca guardando per terra, poi velocemente esce dal laboratorio.
 
Mimì si trattiene un attimo con il medico, poi garbatamente si congeda. Raggiunge poco dopo il commissario, che si sta frugando nelle tasche, alla disperata ricerca di una mentina; è dura smettere di fumare proprio in questi frangenti e Alberghetti tira fuori un pacchetto di caramelle che porge all’amico.
 
– Tieni Luca, ne hai bisogno… ma perché questa uscita? Non è da te!
 
L’uomo si volta e, dopo aver ingoiato una caramella e tirato un profondo sospiro, risponde al collega:
 
– Hai ragione Mimì, e me ne scuso… Conoscevo l’uomo, era uno dei più grossi antiquari di Roma, molto conosciuto anche in politica, visto che aveva appoggiato la lista dell’attuale sindaco alle scorse elezioni… un bel casino!
 
– Già… hai proprio ragione!
 
– Dai Mimì, torniamo dentro, devo scusarmi con un amico…

(Continua)

Written by matemauro

11-05-2010 at 10:51

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Incendio nel parco – 1

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Uno
 
Piazza Vittorio, dieci di sera: un uomo, barcollando, si avvia verso i giardini pubblici, con passo incerto da ubriaco, quasi a imitare il rollio e il beccheggio di una barca che galleggia in quell’alcool che ha introdotto nello stomaco dopo una giornata passata a festeggiare non sa bene cosa.
 
È autunno, le foglie degli alberi stanno mutando colore, assumendo tinte rossastre; stranamente per Roma, inizia ad alzarsi una grigia nebbia, fredda, che entra nelle ossa e che, all’aperto, ti fa desiderare di tornartene a casa vicino al calorifero.
 
L’uomo passa inosservato tra i pochi passanti frettolosi. Soltanto quattro giovani stanno stravaccati su una panchina, fumando improbabili sigarette e tracannando birra di scarsa qualità. 
 
L’ubriaco, stretto nel suo logoro cappotto verde oliva, passa loro accanto non degnandoli di uno sguardo e desiderando solamente un posto libero dove sedersi. Finalmente; ecco, una panchina tutta per lui, per potersi sedere e meditare un po’ sul fatto che i bicchieri sono stati troppi e che gli anni vanno avanti anche per lui, tanto da accorgersi che quelle bevute fanno a cazzotti con il suo fisico.
 
Tira fuori una sigaretta dal pacchetto schiacciato e, dopo aver provato alcune volte a vuoto, riesce ad accenderla col suo zippo d’argento. Tira la classica boccata all’aroma di benzina e poi inizia a respirare un po’ col naso in modo da compensare la nausea che gli sta salendo dallo stomaco.
 
– Ehi, vecchio! Giornataccia eh?
 
I quattro nullafacenti si avvicinano all’uomo che si gira verso di loro sorridendo.
 
– Ehm… non è stato… hic… il massimo… ma ora devo andare, devo rientrare.
 
Uno dei giovani, il più alto del gruppo, gli offre una bottiglia di birra già aperta che lui rifiuta col cenno di una mano.
 
– No grazie ragazzo, non posso, altrimenti vomito!
 
– Beh, fratello, io te la lascio qui, sulla panchina, bevitela alla nostra salute quando vuoi!
 
L’uomo si gira verso il gruppetto, gli occhi lucidi dalla commozione dell’ubriaco:
 
– Grazie, veramente buoni. Berrò un sorso… hic… tra un po’…
 
I quattro lo salutano, e accendendosi un altro spinello, si allontanano lemme lemme verso la stazione Termini.
 
Il vecchio guarda la bottiglia, è anche una buona birra nonostante sia di quelle strane marche olandesi, l’ha già provata in passato e andava giù che era un piacere, forse lo farà sentire meglio… c’era pur quel detto che dice di far contrasto all’alcol con altro alcol o qualcosa del genere… forse magari soltanto un sorso, strano odore però… sarà il doppio malto, ma gli ricorda tanto le mandorle.

Zhou Kai, nella sua casa di via Emanuele Filiberto, non riesce proprio a prendere sonno quella sera, è un periodo poco proficuo per il negozio e mille pensieri gli passano per la testa. Pochi turisti frequentano l’Esquilino in autunno e quindi si trova messo male. Sua moglie gli aveva detto di lasciar perdere e cercare di aprire un’altra attività, ma suo padre gli aveva lasciato quel posto e lui deve cercare in tutti i modi di venirne fuori.
 
Con tanti pensieri che gli frullano nella testa non ce la fa proprio a restare in casa e decide di uscire un po’, magari a fare una corsa, l’unica attività che lo rilassa. Guarda l’ora, le undici… sì, si può ancora andare; si toglie lo stretto kimono nero per mettersi una tuta da ginnastica e un paio di scarpette. Esce dal portone e, con la scioltezza di chi è abituato a correre ogni giorno, inizia a fare un percorso che gli farà percorrere quasi dieci chilometri attraverso le larghe vie della Roma umbertina. Accende il suo iPod con musica rock a palla e si avventura dirigendosi verso piazza Vittorio.
 
Già a distanza, però, si accorge di qualcosa di strano. Mancano ancora duecento metri alla piazza quando osserva uno strano bagliore rosso provenire dai giardini. Con la curiosità di chi percepisce un pericolo imminente si avvicina ancora un po’ e, resosi conto di essere di fronte a un incendio, si blocca, incerto sul che fare. Dopo un paio di minuti passati a guardare come un imbecille il fuoco che si sta propagando tra le panchine e le piante ad alto fusto, finalmente si decide a prendere il cellulare e comporre il 115.
 
Dall’altra parte della linea risponde un assonnato centralinista:
 
– Vigili del fuoco. Chi parla?
 
– Ehm… sono Zhou, Zhou Kai… qui vedo fuoco su elba… si… fuoco, fuoco nel palco…
 
– Scusi? – Il pompiere, pensando al solito scherzo notturno, fa per chiudere la comunicazione, ma ripensa un attimo alle ultime parole e si blocca:
 
– Scusi, ripeta per cortesia, quale fuoco e quale palco?
 
– No, no palco!!! Sì… come si chiama questo… ah! I gialdini pubblici, scusa, io no palla bene italiano…
 
Il pompiere di guardia quasi cade dalla sedia.
 
– I giardini pubblici? Quali?
 
– Piazza Vittolio, fate plesto, please!
Zhou Kai, nella sua casa di via Emanuele Filiberto, non riesce proprio a prendere sonno quella sera, è un periodo poco proficuo per il negozio e mille pensieri gli passano per la testa. Pochi turisti frequentano l’Esquilino in autunno e quindi si trova messo male. Sua moglie gli aveva detto di lasciar perdere e cercare di aprire un’altra attività, ma suo padre gli aveva lasciato quel posto e lui deve cercare in tutti i modi di venirne fuori.
 
Con tanti pensieri che gli frullano nella testa non ce la fa proprio a restare in casa e decide di uscire un po’, magari a fare una corsa, l’unica attività che lo rilassa. Guarda l’ora, le undici… sì, si può ancora andare; si toglie lo stretto kimono nero per mettersi una tuta da ginnastica e un paio di scarpette. Esce dal portone e, con la scioltezza di chi è abituato a correre ogni giorno, inizia a fare un percorso che gli farà percorrere quasi dieci chilometri attraverso le larghe vie della Roma umbertina. Accende il suo iPod con musica rock a palla e si avventura dirigendosi verso piazza Vittorio.
 
Già a distanza, però, si accorge di qualcosa di strano. Mancano ancora duecento metri alla piazza quando osserva uno strano bagliore rosso provenire dai giardini. Con la curiosità di chi percepisce un pericolo imminente si avvicina ancora un po’ e, resosi conto di essere di fronte a un incendio, si blocca, incerto sul che fare. Dopo un paio di minuti passati a guardare come un imbecille il fuoco che si sta propagando tra le piante ad alto fusto, finalmente si decide a prendere il cellulare e comporre il 115.
 
Dall’altra parte della linea risponde un assonnato centralinista:
 
– Vigili del fuoco. Chi parla?
 
– Ehm… sono Zhou, Zhou Kai… qui vedo fuoco su elba… si… fuoco, fuoco nel palco…
 
– Scusi? – Il pompiere, pensando al solito scherzo notturno, fa per chiudere la comunicazione, ma ripensa un attimo alle ultime parole e si blocca:
 
– Scusi, ripeta per cortesia, quale fuoco e quale palco?
 
– No, no palco!!! Sì… come si chiama questo… ah! I gialdini pubblici, scusa, io no palla bene italiano…
 
Il pompiere di guardia quasi cade dalla sedia.
 
– I giardini pubblici? Quali?
 
– Piazza Vittolio, fate plesto, please!

(Continua)

Written by matemauro

09-05-2010 at 21:59

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Valcorvina e il mistero del centro benessere – Cap. 9° (Fine)

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aeroporto fiumicino
Capitolo 9°

Luca sta freneticamente ricercando dati, contattando la ditta di riparazione tedesca. Un interprete della polizia lo aiuta, mentre è in videoconferenza con il direttore della società e il capo della polizia di Colonia. Questa tecnologia a volte è complicata, ma utile: sulla metà bassa del monitor vede l’anziano titolare della ditta che gli sta dicendo di avere cambiato alcuni tecnici nell’ultimo anno, uno era particolarmente brillante, un vero genio dell’elettronica che si è ritirato per problemi di salute. Arriva un fax con i nomi delle persone licenziate, mentre il collega tedesco propone di fare una ricerca con gli archivi dell’esercito e gli dice che lo contatterà a breve. La parte superiore del monitor diventa blu, mentre saluta il direttore ringraziandolo.

Rinaldi, presente in fondo alla sala assieme ad Alberghetti e al vicequestore, chiama Valcorvina.

– Perché un controllo con l’esercito tedesco?

Luca si gratta la testa, poi con calma risponde ai tre:

– Capita a volte che ex militari si ritrovino per la strada senza un lavoro e che si dedichino poi alle più svariate professioni per tirare a campare…

In quel momento si riaccende il collegamento con la Polizia tedesca, la grossa faccia del poliziotto riempie lo schermo.

Un fax con una lista di nomi di militari del genio congedati giunge subito in mano al commissario, che ringrazia il collega d’oltralpe salutandolo con una mano.

– Ecco vedi… quattro nomi, tutti reduci delle forze speciali europee mandate alla fine della guerra in ex Jugoslavia, due di Colonia… uno abitante in Einsteinsstraße come la vittima… cazzo!

Stefano guarda il fax, incredulo.

– Un vicino di casa del dottor Tanenbaum? Ma cosa ci faceva qui, per la miseria?

– Una vendetta, caro mio, ho un’idea in proposito ma prima vediamo con chi abbiamo a che fare.

Pigiati un paio di tasti sul portatile Valcorvina accede a un database della Polizia tedesca in cui trova una foto del colpevole…

– Eccolo… Clementis Kurt, quarant’anni, ingegnere elettronico, massimo punteggio di laurea, penso che abbia avuto dei problemi con il vecchio dottore quando era a capo dell’azienda in cui anche il nostro assassino lavorava… forse l’ha licenziato per problemi di cui non so dirvi e magari lui è venuto qui per vendicarsi.

– Ma Luca, perché adesso, dopo anni?

– Non lo so, ma mi piacerebbe sapere di più cos’è successo nell’ex Jugoslavia…

– Diramo la fotografia e la descrizione a tutte le forze dell’ordine, forse riusciamo a prenderlo!

Clementis torna in albergo, è molto stanco. Ormai le medicine non gli fanno più effetto e deve coricarsi sempre molto presto. Prende degli antidolorifici, poi finisce di preparare la valigia e se ne va a dormire. La vendetta è compiuta, il bastardo è eliminato, ha finito di trattare la gente come schiavi. Ricorda il tempo in cui collaborava al reparto ricerca e di come Tanenbaum si sia preso tutti i meriti sulle sue scoperte e poi licenziarlo per non dovergli riconoscere parte dei diritti. Poi il periodo di disoccupazione, la Jugoslavia, la malattia… L’uomo piomba in un sonno agitato da tutti questi incubi.

La mattina successiva Valcorvina cerca di mettersi in contatto con la base dell’esercito dov’era arruolato Clementis, ma non riesce a parlare con nessun ufficiale superiore, i canali sono sbagliati e anche se siamo nell’Unione europea gli eserciti rimangono sempre posti di difficile consultazione.

In centrale arriva Stefano, a braccetto con la cugina appena dimessa dall’ospedale.

Katia gli si avvicina e lo abbraccia dandogli un bacio sulla guancia: – Grazie commissario, mi ha salvato la vita!

Valcorvina, arrossendo, le prende una mano.

– Lui non voleva farle del male, forse all’inizio ce l’aveva con lei, ma poi ci ha ripensato, è stata molto fortunata.

La donna lo guarda e a bassa voce gli chiede quando è previsto il funerale dell’agente.

– Nei prossimi giorni, è stata una grande perdita, era davvero un bravo ragazzo e un ottimo poliziotto. Non si preoccupi ora, Katia, penso sia finita.

Clementis, in mano un piccolo trolley, giunge in autobus all’aeroporto Cristoforo Colombo di Fiumicino, dove si accinge a fare il check-in con una linea low cost. Tutti gli impiegati hanno le foto segnaletiche nel computer e, al momento della stampa della carta d’imbarco, l’impiegata che lo sta servendo invia una mail alla polizia aeroportuale con i dati della persona e l’avviso che molto probabilmente è lui.

Non si è nemmeno presentato con un’identità falsa, non gli interessa più. Porta un giubbetto jeans sopra una camicia azzurra, sotto l’ascella una pistola di cui dovrà liberarsi, prima di salire sull’aereo.

Decide di andare a fumarsi una sigaretta all’esterno. Esce e si appoggia a un automobile parcheggiata fuori delle strisce. Un vigile si avvicina alla vettura, controllando tutte quelle fuori dalle linee di parcheggio. Ha in mano la copia della foto dell’assassino, la sta studiando. Poi arriva vicino all’uomo alto che sta fumando:

– Senta, lei! Veda di spostare subito quest’automobile altrimenti sono costretto a farle una contravvenzione.

Clementis si gira, sta sudando, la febbre è di nuovo alta, suda copiosamente:

– Va bene agente, me ne vado subito.

– Fermo! – Il vigile, che l’ha riconosciuto dalla foto segnaletica, estrae la piccola pistola dalla fondina bianca e gliela punta addosso.

Il tedesco alza lentamente le mani sempre sorridendo; il vigile lo perde un attimo di vista per comunicare via radio, ma in quel momento Clementis estrae la sua pistola, sorridendo. L’agente, però, è più veloce e spara centrandolo in mezzo agli occhi.

Clementis cade a terra, gli occhi sbarrati, sempre sorridendo.

Il vigile si blocca, appena resosi conto di cos’è successo; la pistola d’ordinanza, lasciata libera dalle mani tremanti, cade a terra.

Arrivano altri agenti con le armi in pugno. Un corpo giace riverso a terra, la testa girata verso ovest, gli occhi ciechi verso il pallido sole del mattino.

Alcuni giorni dopo il commissario si reca in obitorio, dove il dottor Bianchetti ha appena concluso gli esami autoptici.

– Il Clementis era affetto da una grave forma di tumore polmonare metastatizzato a causa di esposizione a radiazioni, se non l’avesse freddato il vigile urbano sarebbe morto nel giro di pochi mesi.

Ringraziando il medico legale, Luca torna sui propri passi, aveva ragione anche questa volta: l’ex Jugoslavia, dove i proiettili ad uranio impoverito hanno fatto strage di militari… questo ha avuto solo un fisico più forte ed è durato di più, nient’altro. Sapendo di dover morire, ha voluto vendicarsi, poi, ottenuto il suo scopo, si è lasciato andare…

Triste storia, veramente.

Con un balzo siede accanto a Vacchetta sul sedile della vecchia Alfetta blu che, pur se un po’ tossendo, prontamente lo riporta verso Roma.

Nuvoloni scuri si stanno addensando sulla capitale, forse pioverà stanotte.

(Fine)

Written by matemauro

30-01-2010 at 21:53

Pubblicato su racconti, valcorvina