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Di matematica ma non soltanto…

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Breve storia dei linguaggi di programmazione – 1

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Più o meno un mese fa ho scoperto un sito che per me, matematico, informatico (nato programmatore) è una miniera d’oro per tenere allenata la mente: parlo di Euler Project, una raccolta di problemi attinenti alla matematica e alla programmazione. In questo periodo ho risolto circa 150 dei 350 (e rotti) problemi che vi sono attualmente (ne esce uno nuovo a settimana). I temi trattati spaziano dai numeri primi al triangolo di Pascal (di Tartaglia per noi italiani ;-)), dalla geometria alle equazioni diofantee, dai triangoli magici ai problemi di conbinatoria e così via.

Naturalmente i primi problemi (quelli di numero più basso) sono stati quelli più facili da risolvere, alcuni addirittura li ho risolti con carta e matita (non penna, ché qualche errore scappa sempre! :-D), poi, aumentando la difficoltà, sono dovuto ricorrere al computer e dunque ai linguaggi di programmazione… 😉

Per me, che ho iniziato a programmare ai tempi dell’Università con la mitica TI-58 e poi con lo ZX-80(1), è stato quasi un tornare indietro di una trentina d’anni, ai tempi belli dell’informatica (se pensate che quando feci il corso di programmazione per l’azienda alla quale ho dato il meglio di me stesso per vent’anni, lavoravamo ancora con le schede perforate, penso che capiate di cosa sto parlando… ;-)).

È ovvio che ho iniziato a sviscerare i problemi del Progetto Eulero con gli strumenti più semplici dell’informatico, il Basic, poi lo Small Basic, quindi il Visual Basic, accorgendomi però che, man mano che cresceva il grado di difficoltà, occorrevano strumenti sempre più potenti per riuscire a rimanere nel tempo di un minuto che il sito dà come limite (naturalmente virtuale, dato che non c’è nessuno che controlla, ma in questi casi la propria coscienza è il giudice migliore… ;-)) per ottenere la soluzione corretta.

Dunque, per migliorare le mie prestazioni, sono passato man mano a strumenti (linguaggi) più evoluti: il C++, il Java, il Python, lo Haskell, e altri che adesso non sto a elencare; linguaggi che, a parte i primi due, sinceramente non conoscevo (o conoscevo soltanto per sentito dire). E così ho scoperto un mondo intero di linguaggi dei quali avevo poca o nulla cognizione.

Questo processo personale mi ha portato a pensare di poter diffondere, tra il colto e l’inclita (cit.), una piccola ma densa storia dei linguaggi di programmazione, anche perché tutto sommato rappresentano uno spaccato della storia dell’informatica, scienza che tanta importanza ha al mondo d’oggi.

E già questa sarebbe stata una motivazione sufficiente. Poi però ho scoperto che a metà gennaio ci sarà la prossima edizione (la n. 45) del Carnevale della Matematica, al quale più volte ho partecipato, e che a organizzare questa edizione sarà la mia amica Annarita e che il tema del Carnevale di gennaio sarà “Teoria della computazione, storia del pc e dintorni” e dunque, come si dice, con questa serie di articoli acchiappo due piccioni con una sola fava! (absit iniuria verbis…. :-D)

Bene, come introduzione per far venire l’acquolina in bocca a chi è interessato (e spero anche a chi lo è meno ;-)) mi pare che basti, a rileggerci alla prossima puntata!

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(1) Per chi sa un po’ di storia delle calcolatrici programmabili e dei primi computer da tavolo che si collegavano al televisore di casa: ebbene sì, io ero per la Texas Instruments contro l’HP e per la Sinclair contro l’Amiga-Commodore! Come disse qualcuno (ma pare che la citazione, almeno in questo caso, sia apocrifa), ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati… 😉

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28-12-2011 at 01:04

Finalmente, Odifreddi!

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È appena uscita in libreria (e ovviamente me lo sono accattato subito ;-)) il secondo volume della storia della geometria di Piergiorgio Odifreddi, Una via di fuga (Mondadori editore, 20 €). Il primo volume (Avanti c’è posto, stesso editore), uscito più di un anno fa, mi aveva lasciato con l’acquolina in bocca ed ecco che finalmente il Nostro, tralasciate momentaneamente (spero un po’ più che momentaneamente a dire il vero…) le polemiche con il Papa, torna alla sua alma mater, la matematica e in particolare la geometria, che della prima è la degna madre.

Se Platone aveva fatto incidere sul frontone della sua Accademia l’iscrizione “Non entri chi non sa di geometria”, era perché ai bei tempi ellenistici la cultura non era, com’è ahimé oggi, suddivisa tra cultura umanistica e scientifica: il sapere è uno e indivisibile, con mille e mille sfaccettature. Secondo la mia modesta opinione un letterato dovrebbe sapere di scienza e viceversa, arricchendo la sua specializzazione con concetti in prima istanza a essa estranei, e che poi però si rivelano forieri di scoperte e innovazioni future.

Ma torniamo al volume in questione: tratta dello sviluppo delle conoscenze geometriche dagli indiani agli arabi fino a Gauss, Riemann e Beltrami, dunque un bell’excursus storico! Per ora ho avuto soltanto modo di sfogliarne qualche pagina, e mi riservo casomai di postarne qui, poi, qualcosa che possa essere interessante anche per quei pochi miei lettori che non masticano di matematica… 😉

Dicevo prima che spero che a Odifreddi sia passato quel furore antipapista degli ultimi tempi; e non perché io non sia totalmente d’accordo con lui (come scrivevo qui quando questo blog muoveva i suoi primi passi), ma perché sinceramente la questione era diventata un po’ stucchevole; e l’intelligenza di Odifreddi mi sembrava sprecata per una polemica continuativa del genere.

Dunque ben venga questo volume e speriamo che a esso ne seguano altri dello stesso livello, perché in Italia c’è un forte bisogno di chi sa coniugare la precisione scientifica con la chiarezza espositiva, caratteristiche che ben si riuniscono nella persona di PGO.

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03-12-2011 at 16:38

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M.C. Escher

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MC-Escher

“Il matematico, come il pittore o il poeta, è un creatore di forme. E se le forme che crea sono più durature delle loro è perché le sue sono fatte di idee."

(Godfrey H. Hardy)
 

Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972) è stato un incisore e grafico olandese.

Visse per molti anni in Italia e in Spagna: dalla prima trasse ispirazione per i paesaggi campestri, nella seconda venne vivamente impressionato dall’architettura moresca, soprattutto quella dell’Alhambra, che poi riutilizzò in numerose sue opere.


Dire che cosa abbia rappresentato questo artista per almeno un paio di generazioni di matematici, logici, topologi e filosofi della conoscenza è assai complesso. A scuola, confessò a un suo amico, non era molto bravo in matematica:

“Alle superiori ero molto scarso in aritmetica e in algebra, perché avevo, e ho ancora, una grande difficoltà nell’astrazione di numeri e lettere. Più tardi, quando la mia immaginazione venne attratta dalla geometria solida le cose andarono un po’ meglio, però a scuola non riuscii mai ad avere buoni risultati in queste discipline. Ma il percorso della nostra vita può prendere strane svolte.”

Scrive, d’altra parte, il fisico e matematico Roger Penrose, suo amico:

“Non crediate affatto a quello che Escher racconta sulla sua ignoranza matematica. Forse non aveva dei buoni voti, o forse non aveva avuto un buon rapporto con i professori. Ma una conoscenza molto chiara ed approfondita della matematica e della geometria ce le aveva eccome. D’altra parte questo è evidentissimo nei suoi disegni.”

È il solito problema, non soltanto italiano, a quanto pare: una scuola che non porta lo studente ad amare la matematica, a scoprirne la bellezza.

Per fortuna sua (e nostra) Escher ha dimostrato invece di amare le “costruzioni” matematiche, ed è così che nei suoi lavori ritroviamo moltissimi concetti fisici e matematici, quali:

– l’autoreferenzialità, nelle Mani che disegnano

mani_che_disegnano
– l’effetto Droste, un particolare tipo di ricorsività che si manifesta, per esempio, ponendo due specchi uno di fronte all’altro, in Galleria di stampe

galleria di stampe
– la topologia, per esempio le superfici bidimensionali in spazi tridimensionali, in Nastro di Möbius II

Cinta_de_Mobius_II
– l’infinito, tanto dal punto di vista filosofico che matematico, come preludio alle geometrie frattali, in numerose opere e particolarmente in Limite del cerchio I

limitedelcerchio
– il moto perpetuo, attraverso un trucco percettivo che permette a una cascata di azionare un mulino che con la sua forza motrice riporta l’acqua al punto di partenza, in Cascata

Cascada
– le tassellature (riempimenti completi, simmetrici e non) dello spazio, sia in due che in tre dimensioni, in numerose opere quali per esempio Mosaico II

Mosaico_II
– la dimensione spazio-temporale, come in Rettili, dove piccoli animali preistorici escono da un libro per poi rientravi

Reptiles

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18-06-2010 at 21:35

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Bertrand Russell – 2 – I “Principia Mathematica”

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La matematica, e l’aritmetica in particolare, si esprimono normalmente con un linguaggio non formalizzato, come, per esempio, la lingua italiana. Gottlob Frege, verso la fine dell’ottocento, pensò che i problemi e le ambiguità dell’aritmetica derivassero dall’utilizzo di concetti d’uso quotidiano, anziché di termini rigidamente formalizzati. Attuò dunque un’opera di sistematizzazione e formalizzazione della matematica attraverso la sua “traduzione” nella logica. Secondo Frege il sistema formale così risultante sarebbe stato scevro da imperfezioni.
Alla base dell’operazione vi erano questi presupposti: esiste una lingua logica ideale che costituisce la struttura oggettiva del pensiero; il pensiero consiste di connessioni tra oggetti; i numeri sono proprio oggetti di questo tipo e il “contare” consta di connessioni tra tali oggetti. Il “calcolo” sarebbe così riconducibile all’atto primario del pensiero e non necessiterebbe del linguaggio matematico come intermediario; questo va dunque eliminato, riconducendo la matematica alla propria matrice logica.
Frege pubblicò la sua opera, Grundgesetze der Arithmetik, nel 1893. In una lettera di qualche tempo dopo, Russell gli comunicò che i Grundgesetze contenevano una contraddizione, o meglio, un’antinomia, cioè un paradosso logico. La contraddizione era dovuta al paradosso dell’autoreferenza; ecco, in termini assai semplificati, in cosa consiste.
Partiamo dai seguenti concetti: esistono entità logiche denominate “classi” o “insiemi” che raccolgono tutti gli oggetti aventi una certa proprietà (che sono, dunque, suoi “membri” o “elementi”). Definendo una classe si crea anche la classe di tutti gli oggetti residui (rispetto all’“universo”), cioè la classe di tutti gli oggetti che non appartengono a quella appena definita. L’“universo” o “sistema di riferimento” deve essere completo e coerente: completo significa che per ogni oggetto si deve poter dire se appartiene o meno a una data classe; coerente, o non contraddittorio, significa che un oggetto non può contemporaneamente appartenere a una classe e alla classe residua.
Per esempio: sia G la classe che contiene tutti i gatti; tutti gli oggetti che non sono gatti appartengono alla classe ¬G (non G); ogni oggetto appartiene o a G o a ¬G. La classe G, inoltre, non contiene se stessa (e infatti non è certo un gatto!).
Ma se consideriamo, invece, la classe C di tutti i concetti, essendo essa stessa un concetto, contiene se stessa; analogo è il caso della classe di tutte le classi, che ovviamente contiene se stessa; chiamiamo questo tipo di classi (quelle che contengono se stesse come elemento) ad “auto-ingerimento” (secondo la bellissima e poetica definizione di Douglas Hofstadter in Gödel Escher Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante). Ogni classe dell’universo, allora, o è ad “auto-ingerimento” oppure no; creiamo a questo punto un’altra classe, e chiamiamola A: essa conterrà tutte le classi ad “auto-ingerimento”, cioè che contengono se stesse. 
Il paradosso si manifesta quando riflettiamo su ¬A (la classe residua di A): essa contiene se stessa o no? Se tale classe non è membro di se stessa allora è membro di se stessa (per definizione); se invece è membro di se stessa allora non è membro di se stessa (per la stessa definizione); cioè è ad “auto-ingerimento”, se e solo se non è ad “auto-ingerimento”. La deduzione logica porta ad un risultato paradossale e alla violazione delle premesse. Questa è la formalizzazione del notissimo paradosso del barbiere: un barbiere di un paesino rade tutti gli abitanti che non radono se stessi; chiediamoci se il barbiere si rade da solo o no: se si radesse da solo, allora non lo dovrebbe fare, ma se non lo facesse, allora lo dovrebbe fare…
Con i Principia Mathematica, Russell e Whitehead tentarono la stessa operazione di Frege (la formalizzazione logica della matematica, per far sì che essa si fondasse su basi logicamente ineccepibili), evitandone però le contraddizioni. In particolare, il problema della “classe di tutte le classi che non contengono se stesse” venne risolto attraverso la “tipizzazione”. Questa teoria instaura una gerarchia di tipi logici che non può in alcun caso venire infranta. Gli oggetti di una classe sono di un tipo logico inferiore rispetto alla classe che li contiene: “qualunque oggetto che contiene tutti gli elementi di una classe non deve essere esso stesso un termine della stessa classe”. Le classi ad “auto-ingerimento” sono, dunque, “prive di significato”. Una classe di classi, cioè una metaclasse, non è una classe. L’affermazione che “l’insieme di tutti i concetti è esso stesso un concetto” è inutilizzabile, poiché è un concetto di un tipo logico superiore. 
L’opera di sistematizzazione formale e di fondazione logica dei Principia Mathematica riscosse un notevole successo per alcuni decenni, almeno finché non venne unanimemente compresa la portata dei teoremi di Gödel (vedi oltre). Essa aveva la pretesa di costituire un unico sistema che ricomprendesse e organizzasse tutta la matematica. Si poneva, dunque, la questione della completezza e della coerenza di tale sistema; esso è completo se tutti gli enunciati veri della matematica sono derivabili (“ottenibili” e “dimostrabili”) al suo interno; è coerente, o non-contraddittorio, se non possono derivarsi al suo interno enunciati contraddittori, vale a dire una proposizione e contemporaneamente la sua negazione.
Il matematico tedesco David Hilbert lanciò proprio questa sfida (agli inizi del XX secolo, nella lista dei 23 problemi aperti e fondamentali per la scienza) alla comunità dei matematici: dimostrare la completezza e la coerenza dei Principia Mathematica. Ma quali strumenti potevano essere usati per tale scopo? Hilbert propose di usare i metodi esposti nello stesso testo, o meglio, soltanto una parte di essi. In tal modo, innescava una circolarità che avrebbe permesso ai Principia di reggersi da soli. Nessuno riuscì nell’impresa proposta da Hilbert.
E Kurt Gödel, un matematico moravo di lingua tedesca, anzi, dimostrò esattamente il contrario, in un famoso articolo del 1931 intitolato Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme (Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e di sistemi affini). In particolare dimostrò due cose: dapprima che “ogni sistema formale analogo all’aritmetica contenuta nei Principia, vale a dire almeno altrettanto potente, o è completo (e allora è incoerente) ovvero è coerente (ma allora è incompleto)”; e, secondariamente, che “nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza”. E la cosa non è tanto una limitazione dei Principia, quanto piuttosto dell’aritmetica stessa (e dei sistemi affini): non è soltanto l’analisi della nozione di numero proposta da Russell e Whitehead a essere incompleta, ma lo sarà anche qualunque analisi effettuata nello stesso stile. Il che significa, a loro scusante, che essi hanno fallito dove nessuno poteva riuscire.
Non si creda, comunque, che il lavoro di Gödel, soprattutto rispetto alla sua seconda conclusione, mini le basi dell’aritmetica (come venne – e viene, purtroppo, tuttora – erroneamente creduto): esso stabilisce semplicemente che la completezza e la coerenza dell’aritmetica non possono essere dimostrate mediante gli assiomi della stessa aritmetica: occorre un’altra teoria, di livello logico superiore.
Un’ultima considerazione sul formalismo adottato da Russell e Whitehead: esso non era una loro invenzione, ma di Giuseppe Peano, che Russell aveva incontrato, rimanendone folgorato, al Congresso internazionale di filosofia, a Parigi, nell’agosto del 1900; ecco come racconta l’avvenimento lo stesso Russell, nella sua autobiografia:
“Il Congresso fu il punto di svolta della mia vita intellettuale, perché vi incontrai Peano. Lo conoscevo già di nome e avevo visto qualche suo lavoro, ma non mi ero preso la briga di imparare il suo formalismo. Al Congresso notai che era sempre il più preciso di tutti, e che sistematicamente aveva la meglio in ogni discussione in cui si imbarcava. Col passare dei giorni, decisi che questo era l’effetto della sua logica matematica. Capii che il suo formalismo era lo strumento di analisi logica che avevo cercato per anni.”
I Principia Mathematica, comunque, non sono un testo di facile lettura, essendo pensato e scritto per specialisti del settore. Più facilmente abbordabile, anche per un lettore non esperto, è invece una sua opera precedente, I principi della matematica, che contiene in nuce i concetti espressi formalisticamente nei Principia. Per dare un esempio dell’estremo formalismo utilizzato da Russell e Whitehead, ecco la dimostrazione che 1 + 1 = 2…principia

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25-05-2010 at 16:40

Bertrand Russell – 1 – La vita

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russell

“L’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. E che, di conseguenza, la collaborazione è più importante della competizione.”
 
“Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete d’amore, la ricerca della conoscenza e una struggente compassione per le sofferenze dell’umanità.”
 
Bertrand Arthur William Russell, terzo conte Russell (Trellech, 18 maggio 1872 – Penrhyndeudraeth, 2 febbraio 1970), è stato un filosofo, logico e matematico inglese (gallese di nascita ma britannico di adozione). Fu anche un autorevole esponente del movimento pacifista e un divulgatore della filosofia. In molti, della mia generazione, abbiamo guardato a Russell come a una sorta di profeta della vita creativa e razionale.
 
Nato ricco e nobile, non accettò nulla della sua posizione privilegiata. Fece più volte l’esperienza del carcere: nel 1918 con un articolo protestò contro la coscrizione obbligatoria e venne condannato a sei mesi di prigione. Il periodo fu proficuo, visto che in carcere riuscì a preparare l’Introduzione alla filosofia della matematica, il nucleo di quella che, scritta insieme ad Albert North Whitehead, sarà la sua opera fondamentale nel settore della logica matematica: i Principia Mathematica (il titolo allude, chissà se volontariamente o meno, all’opera fondamentale di Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica), di cui quest’anno ricorrre il centenario della pubblicazione del primo dei tre volumi. Anche in seguito, comunque, il suo spirito ribelle gli creò non pochi problemi, tanto che gli venne negato o ritirato l’incarico di insegnante in parecchie università, in Gran Bretagna e negli Stati uniti.
 
Negli anni immediatamente precedenti la Seconda guerra mondiale fu fautore di una politica di pacificazione, ma poi riconobbe che Hitler doveva essere combattuto, modificando la sua idea di “pacifismo assoluto” in quella di “pacifismo relativo”: egli riteneva che la guerra fosse un male, ma anche che, in circostanze estreme (ad esempio, quando Hitler minacciava di occupare l’Europa intera e di sterminare o ridurre in schiavitù intere etnie considerate inferiori: l’ebrea, la slava, la rom), la guerra stessa potesse essere il male minore. A partire dagli anni cinquanta divenne, assieme ad Albert Einstein, un autorevole sostenitore del disarmo nucleare. Nel 1961 fu di nuovo processato e condannato a una settimana di prigione, in seguito a una manifestazione a Londra contro il proliferare delle armi atomiche (l’immagine in testa si riferisce appunto a quella manifestazione; Russell è indicato da un cerchietto rosso).
 
Vinse nel 1950 il Nobel per la Letteratura “quale riconoscimento ai suoi vari e significativi scritti nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero”, ma (oltre a quello per la Matematica, inesistente oggi come allora, ma all’epoca non esisteva nemmeno il suo sostituto naturale, la medaglia Fields) avrebbe meritato almeno anche quello per la Pace, che è stato ultimamente regalato a gente che non lo meritava (ancora), pur di non assegnarlo.
 
Sono storiche le sue battaglie per il disarmo nucleare, le manifestazioni da lui organizzate contro il proliferare delle armi atomiche, l’organizzazione (insieme a scienziati del calibro di Albert Einstein, Frédéric Joliot-Curie, Max Born, Leopold Infeld, Léo Szilárd, Hideki Yukawa e così via), della Conferenza di Pugwash per la Scienza e gli Interessi del Mondo (l’organizzazione ricevette poi il premio Nobel per la Pace nel 1995), e storica anche la provocatoria e simbolica fondazione, assieme a Jean-Paul Sartre, del Tribunale internazionale per la pace, che a più riprese condannò gli Stati uniti per la guerra in Vietnam.
 
Fu un logico e matematico sopraffino. Senza il suo lavoro riguardante la logica, non sarebbe esistito probabilmente Wittgenstein (autore di contributi di capitale importanza sulla fondazione della logica e sulla filosofia del linguaggio), del quale fu maestro. Senza i suoi scritti di matematica, alcuni in collaborazione con Whitehead, non avremmo mai avuto la rivoluzione gödeliana.
 
Visse 98 anni, ma non si annoiò davvero mai. Sposò 4 donne (l’ultima a 80 anni), “avendole puntualmente e reiteratamente tradite tutte con altre”. Fu un critico dei dogmi della contemporaneità, dell’oscurantismo conservatore e della moralità corrente. I suoi scritti morali, già negli anni venti, erano tali da far impallidire parecchi di noi sessantottini, che a suo confronto eravamo, forse, bimbi viziati con qualche stralunata presunzione progressista.
 
Fu radicale, liberal ma non liberale, fervente socialdemocratico e amante della libertà, nemico di ogni totalitarismo, incoerente nella sua estrema razionalità.
 
Semplicemente un genio, uno di quegli uomini di cui ogni giovane (e meno giovane…) amante della cultura, della libertà di pensiero e della verità (o meglio, del relativismo della verità) dovrebbe avere in camera un poster appeso (e io ce l’avevo, insieme a quello di Einstein).
 
La sua concezione della razionalità (la teiera spaziale)
 
“Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c’è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole lungo un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché aggiungessi che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se aggiungessi che – dato che la mia asserzione non può essere confutata – dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte di chi ne dubita, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra, in un’età illuminata, o dell’Inquisitore, in tempi neanche troppo lontani.”
 
Nel prossimo post vi parlerò più in dettaglio dei Principia Mathematica.

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24-05-2010 at 17:40

Carl Friedrich Gauss

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gauss

Carl Friedrich Gauss (Braunschweig, 30 aprile 1777 – Gottinga, 23 febbraio 1855) è stato un matematico, astronomo e fisico tedesco, che ha fornito contributi determinanti nei settori dell’analisi matematica, della teoria dei numeri, del calcolo numerico, della geometria differenziale, della geodesia, del magnetismo e dell’ottica.
Gauss era il figlio unico di una coppia di condizioni modeste. Il giovane Carl era un genio precoce: all’età di tre anni sapeva già leggere e fare di conto. All’età di 10 anni fu autorizzato a seguire le lezioni di aritmetica di un certo Buttner, persona ben nota per essere piuttosto cinica e irrispettosa (sopratutto nei confronti degli studenti di famiglie povere). Un giorno che gli studenti erano particolarmente turbolenti, Herr Buttner diede loro per punizione il compito di calcolare la somma dei primi 100 numeri: 1+2+3+…+100. Mentre iniziava a dilettarsi al pensiero di quanto tempo sarebbe occorso ai “discoli” per ottenere il risultato, fu interrotto dal rumore di una lavagnetta (quello era il sistema in uso nelle scuole tedesche, la carta era ancora troppo costosa) che veniva posata sulla scrivania. Buttner rimase allibito, soprattutto quando scorse il risultato, 5050, naturalmente esatto. Alla richiesta di spiegazione, il giovane Gauss rispose che aveva semplicemente “visto” che scrivendo la serie da 1 a 100 e sotto di essa la serie da 100 a 1, vi erano 100 termini la cui somma era 101, e dunque bastava moltiplicare 100 per 101 e dividere a metà. Generalizzando, aveva scoperto la formula che restituisce la somma dei primi n numeri interi: n(n+1)/2.
Buttner, tutto sommato, era un uomo intelligente e, rendendosi conto che aveva poco più da insegnare a Gauss, lo raccomandò al duca di Brunswick, il quale concesse al fanciullo l’aiuto economico per portare a termine gli studi secondari e quelli universitari.
Nel 1799 Gauss presentò la sua dissertazione, una dimostrazione (forse la prima brillante), del teorema fondamentale dell’algebra.
Nel 1801, all’età di 24 anni, presentò il suo lavoro Disquisitiones Arithmeticae, che si dimostrò subito uno dei contributi più importanti alla teoria dei numeri. In quel lavoro Gauss introdusse alcune nozioni basilari: i numeri complessi (o “immaginari”) e la teoria delle congruenze (i “numeri dell’orologio”).
Dopodiché Gauss si dedicò all’astronomia e riuscì a calcolare l’orbita dell’asteroide Cerere con il metodo dei “minimi quadrati”. Questo gli valse una posizione all’Osservatorio di Göttingen. Intorno al 1820, Gauss si interessò di fisica (in particolare di elettromagnetismo (“legge di Gauss”). 
Si possono citare ancora tanti altri contributi fondamentali di Gauss: alla teoria delle probabilità (“curva gaussiana”), alla geometria (geodetiche, teorema egregium) e così via.
Per via del suo motto “pochi ma buoni”, Gauss non pubblicò mai alcune sue idee, perchè le giudicava incomplete (variabili complesse, geometrie non-euclidee, fondamenti matematici della fisica…) e dunque non meritevoli di diffusione, finché non le avesse dimostrate e sviscerate a fondo, il che fece sì che poi ad altri matematici, nei secoli successivi, toccò di “riscoprire l’acqua calda”, per così dire… Tra tutti i suoi studi, Gauss si dedicò anche all’economia e, dopo uno studio accurato dei mercati finanziari, riusci a guadagnare una fortuna personale considerevole.
Gauss, che aveva dato contributi fondamentali anche alla fisica e all’ingegneria, usava dire che la matematica era la regina delle scienze e che l’aritmetica (ovvero la teoria dei numeri) era la regina della matematica.
L’uscita di scena di Gauss fu all’altezza della sua vita: il suo ultimo studente non fu altri che Bernhard Riemann, che ne continuò e ne ampliò le opere e le scoperte.

Su Gauss, uno dei prìncipi della matematica, insieme ad Archimede, Eulero e Newton, si trovano in rete numerosi aneddoti, quasi tutti probabilmente inventati, ma vi sono anche dei fatti incontrovertibili, analoghi a quelli che circolano a proposito di Chuck Norris, attore marziale, (ridicolo) protagonista invincibile della serie tv Walker Texas Ranger. Io li ho collezionati (qualcuno l’ho inventato anch’io, a dire la verità!) e ve li presento, tanto per terminare con la solita nota umoristica…[Nota: i link che trovate di seguito si riferiscono ad articoli, miei o di Wiki, che chiariscono – spero – i termini utilizzati…]

Gauss non ha “scoperto” la distribuzione normale: è la Natura che vi si è adeguata.
Le rette parallele si incontrano dove Gauss dice loro di farlo.
A Gauss i margini dei libri bastano sempre.
Gauss può quadrare il cerchio e trasformarlo nell’ipersfera.
Una dimostrazione elegante è lunga una riga. Una dimostrazione elegante fatta da Gauss è lunga una parola.
Gauss non cerca le radici di un’equazione, sono loro a venire da lui.
Non esistono teoremi, ma soltanto un insieme di proposizioni che Gauss permette essere vere.
Hilbert ha proposto la sua lista di 23 problemi irrisolti perché non è riuscito a leggere bene gli appunti di Gauss.
Gauss conosce la differenza topologica tra una ciambella e una tazza da caffè.
Gauss può dividere per zero.
Se Gauss deve percorrere la prima metà di cento metri, e poi la metà della distanza rimanente, e poi la metà ancora, e così via, arriva alla fine.
Erdős credeva che Dio avesse un libro con tutte le dimostrazioni perfette. Dio crede che il libro ce l’abbia Gauss.
Gauss ha costruito alberghi di Hilbert su Viale dei Giardini e Parco della Vittoria.
Dio non gioca a dadi, a meno che Gauss non gli permetta di lasciarlo vincere ogni tanto.
Gauss può contare fino a i.
Gauss può trisecare un angolo e duplicare il cubo usando soltanto il compasso.
Gauss può percorrere tutti i ponti di Königsberg una e una sola volta, tornando al punto di partenza.
Per Gauss, l’aritmetica è consistente e completa.
Una volta Gauss ha giocato contro se stesso in un gioco a somma nulla, e ha vinto 50 euro.
Per Gauss, zero virgola nove periodico vale quello che gli serve al momento.
Gauss non dimostrava teoremi: li guardava fissi finché confessavano essi stessi la propria dimostrazione.
Il rasoio di Occam: la più semplice spiegazione di qualunque fenomeno è quella con le parole di Gauss.
Una volta Gauss si addormentò mentre studiava analisi complessa. Il risultato: le singolarità.
I numeri immaginari sono quelli che Gauss ha definito non meritevoli di esistenza.
Per Gauss, la probabilità vale sempre 1.
Per Gauss non esiste la “teoria dei numeri”. Lui la conosce come “fatti sui numeri”.
Quando Gauss andava dal punto A al punto B, il percorso da lui scelto veniva definito come la linea retta tra i due punti.
Gauss ha avuto n(n+1)/2 fidanzate.
Sotto le basette di Gauss non ci sono due guance, ma due radici eventualmente coincidenti.
Gauss avrebbe voluto sulla sua tomba una curva di Peano disegnata con riga e compasso, ma lo scalpellino rifiutò e scelse il più semplice eptadecagono.
Gauss non ha avuto bisogno di calcolare l’orbita di Cerere: prima che iniziasse i calcoli, l’asteroide si è arreso.
Prima di Gauss, l’universo era modellato sulla geometria euclidea: poi Gauss ha distrattamente piegato il foglio sul quale stava lavorando.
Se Gauss ci avesse messo le mani, la numerologia sarebbe una scienza. Esatta.
Secondo Leibniz, quando Dio calcola sorge il mondo. Ma quando i calcoli di Dio gli creano problemi, è Gauss che glieli risolve.
Tutte le dimostrazioni per assurdo stese da Gauss cominciano nello stesso modo: “Supponiamo per assurdo che io non riesca nella dimostrazione…”
Gauss ha numero di Erdős uguale a -1.
Posizione e velocità di una particella sono quelle che Gauss dice che sono.
I numeri primi che non sono primi di Gauss si annoiano.
Il rapporto aureo era d’argento, prima che Gauss lo studiasse.
La luce può curvare in maniera evidente: o in presenza di una grande massa oppure in presenza di Gauss.
Gauss non ha pubblicato la maggior parte dei suoi lavori per lasciare ad altri il gusto della scoperta.
Il supercalcolatore Deep Blue ha sconfitto il campione di scacchi Garri Kasparov in 21 mosse. Contro Gauss, ha abbandonato. Come mossa di apertura.
Non esistono integrali che non si possano calcolare: Gauss li ha calcolati tutti, ma alcuni non li ha divulgati per concedere ai matematici il beneficio del dubbio.

Written by matemauro

07-05-2010 at 16:15

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Leonhard Euler

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Leonhard Euler, noto in Italia come Eulero (Basilea, 15 aprile 1707 – San Pietroburgo, 18 settembre 1783), è stato un matematico e fisico svizzero.
 
Figlio di un pastore calvinista che era deciso a fargli studiare teologia perché potesse intraprendere la carriera ecclesiastica, Leonhard obbedì rispettosamente e studiò teologia e lingua ebraica all’Università di Basilea. Fortunatamente per lui, la città di Basilea era anche la patria dei Bernoulli, una singolare famiglia di matematici che, in sole tre generazioni, aveva prodotto sette menti matematiche di primo livello (prima o poi mi toccherà scrivere di questa eccezionale famiglia). E infatti Eulero prese lezioni di matematica da Johann Bernoulli, che intuì il suo enorme talento e convinse il padre a fargli intraprendere lo studio della matematica. Nel 1726 Eulero completò il suo dottorato sulla propagazione del suono e nel 1727 partecipò per la prima volta, arrivando secondo, al Grand Prix dell’Accademia francese delle scienze (premio che vinse ben dodici volte nella sua vita).
A Eulero dobbiamo uno tra i più importanti contributi alla matematica, quella che oggi viene chiamata “topologia”, e uno dei suoi più importanti approcci scientifici, la teoria dei grafi, che trova numerosi applicazioni, sia nelle reti di comunicazione e nello studio dell’evolvere di Internet, sia in altre applicazioni di fisica, di ingegneria elettronica, e addirittura di sociologia e biologia.
 
Come spesso accade nella storia delle scoperte scientifiche, lo studio della topologia trae origine da un indovinello apparentemente innocuo: il problema dei ponti di Königsberg (oggi Kaliningrad, enclave russa in Polonia), celebre per due motivi: per aver dato i natali a Immanuel Kant (e scusate se è poco…) e per il “problema dei sette ponti”, o “problema di Königsberg”, appunto. La citttà aveva sette ponti che collegavano i vari quartieri della città, attraversata dal fiume Pregel, che vi formava due isole.
 
 
Erano in molti a chiedersi se fosse possibile attraversare tutti e sette i ponti ritornando alla fine al punto di partenza, dopo essere passati una volta sola su ognuno di essi. Il problema aveva attirato l’attenzione dei più celebri matematici, i quali avevano tentato invano di trovare una soluzione. Ed ecco come Eulero risolse il problema, nel 1735. Innanzitutto semplificò la mappa della città.
 
 
Si rese così conto che la posizione esatta delle isole e dei ponti è irrilevante: quel che importa è il modo in cui i ponti sono messi uno rispetto all’altro, cioè il “grafo” (o rete) formato dai ponti.

 

 

 
 
Se osserviamo questa figura, nella quale i ponti vengono sostituiti da “archi” e le rive del fiume da “nodi”, si vede che Eulero costruì quello che si chiama un grafo, con nodi (i punti) e archi (le linee), allargando la sua indagine in generale ai problemi di percorso nei grafi. Partendo dal fatto che, secondo quanto si chiedeva, ogni nodo deve avere un numero pari di archi che lo attraversano (visto che bisogna entrarvi e poi uscirne), stabilì in via generale che un grafo composto soltanto da nodi pari, collegati cioè a un numero pari di archi, è sempre percorribile (e si può ritornare al punto di partenza) senza sovrapposizioni di percorso. Se un grafo contiene soltanto due nodi “dispari” (cioè collegati a un numero dispari di archi) è ancora percorribile, ma non si può più ritornare al punto di partenza e i due nodi dispari devono essere i punti di inizio e fine della “passeggiata”. Se contiene invece più di due nodi dispari, non è più percorribile senza sovrapposizioni di percorso. 
 
La passeggiata sui ponti di Königsberg è di quest’ultimo tipo, dato che si sviluppa in un grafo composto da quattro nodi dispari; quindi non ha soluzione. Quello che sembrava un piccolo rompicapo senza importanza, nelle mani di Eulero diventò un grande problema matematico, punto di partenza della teoria dei grafi e di una nuova scienza: la topologia, appunto.
 
Lo studio dei grafi portò a risultati sorprendenti. Uno di questi è la cosiddetta formula di Eulero, scoperta dal matematico nel 1751. Se in un grafo piano contiamo il numero di vertici e lo chiamiamo V, il numero di lati e lo chiamiamo E, e il numero di facce (le aree chiuse delimitate dai lati) e le chiamiamo F, è sempre vera la seguente relazione
 
V – E + F = 1
 
Un risultato notevole, se pensiamo che questo è indipendente da quanto sia semplice o complicato un grafo e da quanti lati e vertici abbia. La teoria dei grafi è diventata uno strumento di importanza cruciale nella nostra epoca a partire dal 1950, in risposta a un crescente interesse per gli studi quantitativi in sociologia e antropologia. È a partire da questi anni che matematici come Paul Erdős e Alfréd Renyi iniziarono a studiare i primi modelli che spiegassero la propagazione delle informazioni in una rete interconnessa.
 
Oggi si è scoperto che questi modelli spiegano anche la complessità di reti sociali e la propagazione di epidemie (biologiche) e di virus (informatici), di fenomeni sociali come le mode o i comportamenti delle masse e la complessità di reti come Internet e dei fenomeni emergenti del World Wide Web.
 
L’importanza degli studi di Eulero è senza confini. A lui si deve la formula, che citai in questo post, che consente la realizzazione di metodi per la crittografia a chiave pubblica come il metodo RSA, che viene oggi utilizzato per l’autenticazione dei dati tramite il meccanismo della firma digitale.
 
Di Eulero è poi la formula “più bella”, a mio giudizio, di tutta la matematica, della quale già parlai in questo post:

e i · π + 1 = 0

Essa fece affermare a un’ancora quindicenne Richard Feynman (un genio della fisica) di essere di fronte “alla più bella formula di tutta la matematica”, in quanto collega armoniosamente cinque numeri estremamente importanti: due interi (0 e 1), due numeri reali (π, il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro,  ed e, la base dei logaritmi naturali) e un complesso (i, cioè la radice quadrata di -1). Usando le tre operazioni fondamentali della matematica (somma, prodotto ed elevamento a potenza) si ottiene questa sorprendente relazione, che mostra l’intrinseca connessione esistente fra enti scoperti individualmente a distanza di migliaia di anni l’uno dall’altro, condensata in una formula che ha in sé la profonda armonia di un’opera d’arte.

Tra l’altro, ricordo che, oltre ai tre simboli e, π e i, che sono dovuti in larga misura a Eulero, noi ancora utilizziamo molti altri simboli introdotti dal matematico svizzero per designare certi numeri o grandezze particolarmente importanti. Dalla geometria all’algebra, dalla trigonometria all’analisi troviamo dappertutto l’uso di simboli euleriani, oltre alla terminologia e ai concetti caratteristici di Eulero. Solo per fare alcuni esempi: in geometria utilizziamo il suo metodo quando scegliamo le lettere minuscole a, b, c… per indicare i lati di un poligono e le corrispondenti lettere maiuscole A, B, C… per indicare gli angoli opposti. O i simboli log(x) e ln(x) per indicare il logaritmo e il logaritmo naturale di x. Oppure il simbolo Σ per indicare una sommatoria, o infine, forse il più importante di tutti, la notazione f(x) per indicare una generica funzione di x.
 
Dunque l’attuale notazione matematica è un debito verso Eulero più che verso qualsiasi altro matematico. Inoltre egli è stato di gran lunga il più generoso fornitore di “denominazioni di origine controllata”, offrendo il suo nome a una lista impressionante di enti, oggetti, formule, teoremi, metodi, criteri, relazioni ed equazioni. Proviamo a enumerarle: in geometria, si conoscono il cerchio, la retta e i punti di Eulero relativi ai triangoli, più la relazione di Eulero, che riguarda il cerchio circoscritto a un triangolo; nella teoria dei numeri, il criterio di Eulero, l’indicatore di Eulero, l’identità di Eulero, la congettura di Eulero; in meccanica, gli angoli di Eulero; in analisi, la costante di Eulero; in logica, il diagramma di Eulero; nella teoria dei grafi, di nuovo la relazione di Eulero; in algebra, il metodo di Eulero relativo alla soluzione delle equazioni di quarto grado; nel calcolo differenziale, il metodo di Eulero riguardante le equazioni differenziali. Comincia a girare la testa, ma ancora non abbiamo finito: equazione di Eulero di una retta sotto forma normale, equazione di Eulero (in collaborazione con Lagrange) nel calcolo delle variazioni; la caratteristica di Eulero (in comproprietà con Poincaré) riguardante i poliedri, i grafi, le superfici, le varietà differenziali; la trasformata di Eulero, riguardante le derivate parziali, e quella concernente le serie, più il problema dei trentasei ufficiali di Eulero (e questo, prima o poi, ve lo sottoporrò…) e una quantità di teoremi riguardanti i numeri perfetti, la generalizzazione della formula dei binomi, i grafi connessi, più quello sui poliedri, che è la base della topologia; senza contare una grandinata di formule. Fin qui per i sostantivi.
 
Poi ci sono gli aggettivi. Maschile singolare: il ciclo euleriano e il grafo euleriano; femminile singolare: la funzione euleriana di prima specie, o funzione beta, e quella di seconda specie, funzione gamma, senza dimenticare la catena euleriana di un grafo senza anse; maschile plurale: i numeri euleriani (diversi dai numeri di Eulero) nel calcolo combinatorio e gli sviluppi euleriani per i seni e le cotangenti.
 
Eulero è stato inoltre il “re dei numeri amicabili” (sono le coppie di numeri per le quali ognuno è la somma dei divisori dell’altro). Mentre i suoi predecessori si erano accontentati di scovarne al massimo due o tre coppie, lui ne scoprì oltre sessanta.
 
La sua opera omnia è composta di settantacinque volumi: quarantacinquemila pagine di matematica, pensate e scritte da una sola persona; a quelle opere occorre aggiungere la corrispondenza: ben quattromila lettere.
 
Eulero continuò a creare geniali teorie matematiche fino alla morte, risultato reso ancor più rimarchevole dal fatto che durante la fase conclusiva della sua vita rimase completamente cieco. Cominciò a perdere la vista nel 1735, quando l’Accademia di Parigi offrì un premio per la soluzione di un problema di astronomia. Il problema era così arduo che i matematici chiesero all’Accademia qualche mese di tempo per poter formulare la risposta, ma Eulero non ne ebbe bisogno. Si fece prendere dall’ossessione di risolvere il problema, lavorò ininterrottamente per tre giorni e vinse il premio. Tuttavia, le disagiate condizioni di lavoro e l’intenso affaticamento gli causarono la perdita della vista dall’occhio destro, come mostrano alcuni suoi ritratti dell’epoca.
 
Su suggerimento di Jean D’Alembert, Eulero venne sostituito da Joseph-Louis Lagrange come matematico alla corte di Federico il Grande, che in seguito dichiarò: «Devo alla vostra cura e ai vostri suggerimenti se ho sostituito un matematico mezzo cieco con un matematico che ha tutti e due gli occhi, cosa che renderà particolarmente soddisfatti gli studiosi di anatomia membri della mia Accademia». Eulero così andò in Russia, dove Caterina la Grande accolse benevolmente il “ciclope matematico”.
 
La perdita di un occhio non era un handicap grave. «Ora avrò minore occasione di distrazione», fu il commento di Eulero. Trent’anni dopo, però, quando compiva sessant’anni, la situazione peggiorò considerevolmente: una cataratta all’occhio ancora sano lo ridusse progressivamente alla cecità completa. Era però deciso a non smettere di lavorare e cominciò a esercitarsi a scrivere tenendo chiuso l’occhio sinistro, mentre la vista scemava sempre più, per perfezionare la sua tecnica di scrittura prima che sopravvenisse l’oscurità completa. Nel giro di qualche settimana restò cieco. Per un po’ i suoi esercizi di scrittura compensarono la sopravvenuta cecità, ma dopo qualche mese la sua grafia divenne illeggibile e il figlio Albrecht diventò il suo amanuense.
 
Eulero continuò a produrre matematica nei diciassette anni successivi e fu, se possibile, ancor più fecondo che in passato. Il suo intelletto smisurato gli consentiva di sviluppare i concetti senza doverli mettere su carta e la sua memoria fenomenale gli permetteva di usare il cervello come una biblioteca (tanto per dirne una, sapeva recitare a memoria l’intera Eneide in latino). I colleghi commentarono che l’insorgere della cecità pareva avesse allargato l’orizzonte della sua immaginazione. È degno di nota che il calcolo delle posizioni lunari venne completato da Eulero quando ormai era cieco. Per gli scienziati europei quella fu la conquista matematica più importante; si trattava di un problema che aveva confuso i più grandi matematici, compreso Newton.

Nel 1776 venne tentata un’operazione per rimuovere la cataratta e per qualche giorno la vista di Eulero sembrò ripristinata. Poi sopravvenne un’infezione ed Eulero sprofondò di nuovo nel buio. Imperterrito, continuò a lavorare fino al 18 settembre 1783, quando morì di un colpo apoplettico.

 
Come scrisse il matematico e filosofo Condorcet: «Eulero ha cessato di vivere e di calcolare».

Written by matemauro

13-04-2010 at 22:12

Pubblicato su eulero, matematica

Mauro e il Carnevale della Fisica

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Cari amici, qualche giorno fa l'amica Annarita ha ospitato la quinta edizione del Carnevale della Fisica, che mi vede presente con la storia (che avete potuto leggere su queste pagine) di Ettore Majorana e con la segnalazione del post, anche questo già qui pubblicato, su Paul Erdős.

Ovviamente non posso che ringraziare calorosamente Annarita e invitare voi a leggere il post sul Carnevale…

Written by matemauro

02-04-2010 at 23:22

Pubblicato su fisica, matematica

Pál Erdős, il matematico errante

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erdos
Paul (in ungherese Pál) Erdős (Budapest, 26 marzo 1913 – Varsavia, 20 settembre 1996) è stato un matematico ungherese, uno dei più prolifici ed eccentrici della storia. Ha lavorato e risolto (da solo o più spesso in collaborazione con altri) problemi legati a pressoché ogni settore della matematica.

Immaginate di essere un matematico, in un qualunque paese del mondo, nel periodo che va più o meno dal 1950 al 1995. Siete una sera a casa vostra, magari state riempiendo la lavatrice con vostra moglie, o finendo di consumare la cena, o sdraiato su un divano leggendo un libro di narrativa, insomma, state facendo una qualunque cosa, salvo che pensare alla matematica, ché anche i matematici ogni tanto riposano il cervello…

Bene, dicevo, immaginate di essere in questa situazione, quando, inaspettatamente, squilla il campanello della porta. Mai immaginando chi possa essere lo scocciatore a quest’ora insolita, andate ad aprire. Vi si para dinanzi agli occhi una figura ben nota ai matematici di quel periodo: un tizio dall’atteggiamento estremamente signorile, mitteleuropeo, ma vestito… non proprio male… trasandato, ma non sporco, con due valige ai suoi piedi che hanno certamente visto giorni migliori, addosso un abito stazzonato che avrà vissuto almeno due giri completi dell’orbe terracqueo… e però due occhi da furetto, vispi e gentili.

Il tizio che vi è davanti spalanca la bocca in un sorriso da qui a lì e vi apostrofa: “La mia mente è aperta!”

Ebbene, oggi un’apparizione del genere vi indurrebbe certamente a sbattere la porta in faccia al malcapitato, ma se foste un matematico del periodo che vi dicevo, non fareste altro che spalancare le braccia e accogliere come la manna dal cielo la persona che vi è davanti, dato che altri non potrebbe essere che Paul Erdős, il matematico la cui prolificità è paragonabile soltanto a quella di Eulero: di Eulero sono pervenute a noi 866 pubblicazioni (tutte scritte da lui soltanto), di Erdős 1485, di cui più di 500 in collaborazione con altri.

A quell’accoglienza seguirebbero due-tre settimane d'inferno (ovvero di paradiso matematico), nelle quali sarebbe bene che voi dimenticaste cosa è la famiglia, cosa il mangiare, e, soprattutto, cosa il dormire. D’altronde Erdős non conosce mezze misure: quando prende di punta qualcuno perché pensa che sia un bravo matematico non gli dà pace e lo sprona fino a trarne il meglio; non che lui stesso si risparmi, anzi. È capace di lavorare (e conseguentemente di far lavorare il suo temporaneo collaboratore) per 18-20 ore al giorno, sorreggendosi con forti dosi di caffè (è suo l’aforisma da me prediletto “Un matematico è una macchina che trasforma caffè in teoremi”) e qualche pillola di amfetamina. (Se per caso ve lo state chiedendo vi rispondo: no, io no, solo caffè per me, forte e amaro, null’altro, grazie!)

Quelle due-tre settimane saranno però la vostra fortuna di matematico: porteranno sicuramente a tre-quattro pubblicazioni, un centinaio di teoremi e, se siete fortunati (ovvero bravi…), un paio di scoperte che vi consegneranno all’immortalità matematica.

In compenso, l’ungherese che parla malissimo l'inglese, ma che parla splendidamente la lingua matematica, vi chiederà soltanto vitto (poco) e alloggio.

Che dite, è un baratto che vale la pena di fare?

Nato in Ungheria da genitori di origine ebraica, e laureatosi all’Università di Budapest, Erdős lasciò il continente nel 1934 perché, come ebreo, temeva la catastrofe che si stava per abbattere sull’Europa; si trasferì prima in Gran Bretagna e poi negli Stati uniti. Dopo la guerra, però, con il sorgere della guerra fredda e del maccartismo, lasciò anche questo paese e cominciò a vagabondare per il mondo, cercando ospitalità presso colleghi e amici.

Di Erdős tutto si poteva dire, tranne che fosse attaccato alle cose materiali: dagli anni cinquanta in poi non ha mai posseduto una casa, nemmeno in affitto: abitava presso colui con il quale decideva di collaborare; la prima volta che prese lo stipendio come insegnante allo University College di Londra, venne avvicinato, nei pressi della Euston Station, da un mendicante che gli chiese spiccioli per un tè; Erdős tirò fuori la busta con i soldi, ne prese una minima parte per sé e diede la busta al mendicante; tutto il denaro che guadagnava, a parte il minimo che gli serviva per vivere, lo dava a qualunque fondazione ritenesse meritevole, ad altri matematici che non avevano di che vivere o lo metteva in palio come premio per chi riusciva a risolvere problemi particolarmente complessi. “Dei socialisti francesi” era solito affermare “hanno affermato che la proprietà è un furto. Io sostengo semplicemente che è una seccatura.”

Aveva un vocabolario personale divertentissimo: Libro era un libro tutto particolare nelle mani di un’entità suprema, nel quale erano racchiuse tutte le verità matematiche e tutte le dimostrazioni più eleganti dei teoremi; quando scopriva o leggeva una dimostrazione particolarmente bella era solito dire: “Questa viene direttamente dal Libro!” Capi erano le donne, schiavi gli uomini, epsilon (in matematica la lettera greca ε indica una quantità piccola a piacere) i bambini, veleno erano gli alcolici, rumore la musica, predicare voleva dire tenere una conferenza, morire significava abbandonare la matematica e partire era il sostituto per morire. Dio era poi il SF (supremo fascista), perché non rivelava, se non a prezzo di immani fatiche, il contenuto del Libro, gli Stati uniti erano Samlandia, l'Unione sovietica Joelandia.

Visti l’estrema prolificità e lo spasmodico desiderio di collaborazione di Erdős, i matematici, che non se ne fanno scappare una, hanno inventato il numero di Erdős come proprietà caratteristica di ogni matematico (e non solo); vediamo in cosa consiste.

Allo stesso Erdős è stato assegnato il numero 0; a tutti quelli che hanno co-pubblicato almeno una volta con lui, il numero 1; a tutti quelli che hanno co-pubblicato con le persone col numero 1 (ma non con lo stesso Erdős), viene assegnato il numero 2, e così via. Con questo sistema si misura il grado di vicinanza a uno dei matematici più collaborativi della storia.

Attualmente si contano 511 “numeri 1” (e questo numero, essendo Erdős morto, è destinato a rimanere invariato, salvo scoperte di pubblicazioni in qualche rarissima rivista di matematica pubblicata in un paese sperduto dell'orbe terracqueo…) e 8 674 “numeri 2”.

Il vostro umile scrivano, contando (ed è una forzatura, me ne rendo conto, ma passatemela…) come pubblicazione la tesi di laurea, che porta ovviamente anche la firma del mio relatore, ha come numero di Erdős 5… niente male, davvero! Ecco la linea che unisce me a Erdős:

Mauro Antonetti – Andrea Schiaffino (Successioni monotone non lineari in spazi di Banach – è il titolo della mia tesi)
Andrea Schiaffino – Alberto Tesei (On the operator equation $AX-XA=iB$)
Alberto Tesei – Hans F. Weinberger (A density-dependent diffusion system with stable discontinuous stationary solutions)
Hans F. Weinberger – Michael Golomb (Optimal approximation and error bounds)
Michael Golomb – Paul Erdős (Michael functions which are symmetric about several points)

et voilá! Se qualche mio lettore fosse interessato a calcolare il proprio numero di Erdős, questo è il link da seguire: basta cliccare su Collaboration distance e su Use Erdős, inserire il proprio cognome e nome (o quello di qualcuno con cui si è pubblicato, nel qual caso al numero ottenuto bisognerà aggiungere 1) e cliccare infine su Search; in poche frazioni di secondo vi verrà restituito il cammino che porta dall'uno all’altro nome attraverso le collaborazioni scientifiche!

C’è una curiosità a proposito del numero di Erdős: perfino il giocatore di baseball Hank Aaron, che la matematica probabilmente non sa nemmeno dove stia di casa, ha numero di Erdős uguale a 1, dato che il matematico ungherese pubblicò un articolo sul numero dei fuoricampo battuti dall’americano e questi decise di donargli una palla e di firmarla assieme. (Ma allora il mio considerare la tesi come una pubblicazione non è del tutto errato!)

Una facezia simile gira nel mondo del cinema per Kevin Bacon: il numero di Bacon, che viene assegnato a chi ha lavorato in qualche film con lui, o che ha lavorato con chi ha lavorato con qualcuno che… insomma, avete capito! Dalla somma dei due numeri nasce poi il numero di Erdős-Bacon che però, provenendo da due campi così diversi, è posseduto da un numero molto ridotto di persone, principalmente da matematici (o scienziati) apparsi sullo schermo per qualche documentario scientifico. Ad esempio, l’attrice Natalie Portman possiede numero di Erdős-Bacon 6.

A chi volesse saperne di più sulla vita e sull’operato di Paul Erdős consiglio lo splendido libro di Paul Hoffmann L’uomo che amava solo i numeri: dentro c’è pochissima matematica, ma tantissima umanità.

Written by matemauro

26-03-2010 at 00:00

Pubblicato su erdos paul, matematica

Umorismo matematico

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Un numero infinito di matematici entra in un bar. Il primo ordina una birra. Il secondo ordina mezza birra. Il terzo ordina un quarto di birra. Continuano così finché il barista li ferma e dice “Siete una massa di idioti!” e versa loro due birre.

La matematica è fatta per il 50% di formule, per il 50% di dimostrazioni e per il 50% di immaginazione.

– La statistica dimostra che la maggior parte delle persone sono anormali!

– Com’è possibile?
– Secondo la statistica, una persona ha mediamente una mammella e un testicolo…

Un ingegnere crede che le sue equazioni siano un’approssimazione della realtà.
Un fisico pensa che la realtà sia un’approssimazione delle sue equazioni.
A un matematico non importa.

– Il numero che avete digitato è immaginario. Ruotate il telefono di 90° e provate di nuovo.

Written by matemauro

21-03-2010 at 22:49

Pubblicato su matematica, umorismo