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Breve storia dei linguaggi di programmazione – 1
Più o meno un mese fa ho scoperto un sito che per me, matematico, informatico (nato programmatore) è una miniera d’oro per tenere allenata la mente: parlo di Euler Project, una raccolta di problemi attinenti alla matematica e alla programmazione. In questo periodo ho risolto circa 150 dei 350 (e rotti) problemi che vi sono attualmente (ne esce uno nuovo a settimana). I temi trattati spaziano dai numeri primi al triangolo di Pascal (di Tartaglia per noi italiani ;-)), dalla geometria alle equazioni diofantee, dai triangoli magici ai problemi di conbinatoria e così via.
Naturalmente i primi problemi (quelli di numero più basso) sono stati quelli più facili da risolvere, alcuni addirittura li ho risolti con carta e matita (non penna, ché qualche errore scappa sempre! :-D), poi, aumentando la difficoltà, sono dovuto ricorrere al computer e dunque ai linguaggi di programmazione… 😉
Per me, che ho iniziato a programmare ai tempi dell’Università con la mitica TI-58 e poi con lo ZX-80(1), è stato quasi un tornare indietro di una trentina d’anni, ai tempi belli dell’informatica (se pensate che quando feci il corso di programmazione per l’azienda alla quale ho dato il meglio di me stesso per vent’anni, lavoravamo ancora con le schede perforate, penso che capiate di cosa sto parlando… ;-)).
È ovvio che ho iniziato a sviscerare i problemi del Progetto Eulero con gli strumenti più semplici dell’informatico, il Basic, poi lo Small Basic, quindi il Visual Basic, accorgendomi però che, man mano che cresceva il grado di difficoltà, occorrevano strumenti sempre più potenti per riuscire a rimanere nel tempo di un minuto che il sito dà come limite (naturalmente virtuale, dato che non c’è nessuno che controlla, ma in questi casi la propria coscienza è il giudice migliore… ;-)) per ottenere la soluzione corretta.
Dunque, per migliorare le mie prestazioni, sono passato man mano a strumenti (linguaggi) più evoluti: il C++, il Java, il Python, lo Haskell, e altri che adesso non sto a elencare; linguaggi che, a parte i primi due, sinceramente non conoscevo (o conoscevo soltanto per sentito dire). E così ho scoperto un mondo intero di linguaggi dei quali avevo poca o nulla cognizione.
Questo processo personale mi ha portato a pensare di poter diffondere, tra il colto e l’inclita (cit.), una piccola ma densa storia dei linguaggi di programmazione, anche perché tutto sommato rappresentano uno spaccato della storia dell’informatica, scienza che tanta importanza ha al mondo d’oggi.
E già questa sarebbe stata una motivazione sufficiente. Poi però ho scoperto che a metà gennaio ci sarà la prossima edizione (la n. 45) del Carnevale della Matematica, al quale più volte ho partecipato, e che a organizzare questa edizione sarà la mia amica Annarita e che il tema del Carnevale di gennaio sarà “Teoria della computazione, storia del pc e dintorni” e dunque, come si dice, con questa serie di articoli acchiappo due piccioni con una sola fava! (absit iniuria verbis…. :-D)
Bene, come introduzione per far venire l’acquolina in bocca a chi è interessato (e spero anche a chi lo è meno ;-)) mi pare che basti, a rileggerci alla prossima puntata!
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(1) Per chi sa un po’ di storia delle calcolatrici programmabili e dei primi computer da tavolo che si collegavano al televisore di casa: ebbene sì, io ero per la Texas Instruments contro l’HP e per la Sinclair contro l’Amiga-Commodore! Come disse qualcuno (ma pare che la citazione, almeno in questo caso, sia apocrifa), ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati… 😉
Finalmente, Odifreddi!
È appena uscita in libreria (e ovviamente me lo sono accattato subito ;-)) il secondo volume della storia della geometria di Piergiorgio Odifreddi, Una via di fuga (Mondadori editore, 20 €). Il primo volume (Avanti c’è posto, stesso editore), uscito più di un anno fa, mi aveva lasciato con l’acquolina in bocca ed ecco che finalmente il Nostro, tralasciate momentaneamente (spero un po’ più che momentaneamente a dire il vero…) le polemiche con il Papa, torna alla sua alma mater, la matematica e in particolare la geometria, che della prima è la degna madre.
Se Platone aveva fatto incidere sul frontone della sua Accademia l’iscrizione “Non entri chi non sa di geometria”, era perché ai bei tempi ellenistici la cultura non era, com’è ahimé oggi, suddivisa tra cultura umanistica e scientifica: il sapere è uno e indivisibile, con mille e mille sfaccettature. Secondo la mia modesta opinione un letterato dovrebbe sapere di scienza e viceversa, arricchendo la sua specializzazione con concetti in prima istanza a essa estranei, e che poi però si rivelano forieri di scoperte e innovazioni future.
Ma torniamo al volume in questione: tratta dello sviluppo delle conoscenze geometriche dagli indiani agli arabi fino a Gauss, Riemann e Beltrami, dunque un bell’excursus storico! Per ora ho avuto soltanto modo di sfogliarne qualche pagina, e mi riservo casomai di postarne qui, poi, qualcosa che possa essere interessante anche per quei pochi miei lettori che non masticano di matematica… 😉
Dicevo prima che spero che a Odifreddi sia passato quel furore antipapista degli ultimi tempi; e non perché io non sia totalmente d’accordo con lui (come scrivevo qui quando questo blog muoveva i suoi primi passi), ma perché sinceramente la questione era diventata un po’ stucchevole; e l’intelligenza di Odifreddi mi sembrava sprecata per una polemica continuativa del genere.
Dunque ben venga questo volume e speriamo che a esso ne seguano altri dello stesso livello, perché in Italia c’è un forte bisogno di chi sa coniugare la precisione scientifica con la chiarezza espositiva, caratteristiche che ben si riuniscono nella persona di PGO.
M.C. Escher
“Il matematico, come il pittore o il poeta, è un creatore di forme. E se le forme che crea sono più durature delle loro è perché le sue sono fatte di idee."
(Godfrey H. Hardy)
Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972) è stato un incisore e grafico olandese.
Visse per molti anni in Italia e in Spagna: dalla prima trasse ispirazione per i paesaggi campestri, nella seconda venne vivamente impressionato dall’architettura moresca, soprattutto quella dell’Alhambra, che poi riutilizzò in numerose sue opere.
Dire che cosa abbia rappresentato questo artista per almeno un paio di generazioni di matematici, logici, topologi e filosofi della conoscenza è assai complesso. A scuola, confessò a un suo amico, non era molto bravo in matematica:
“Alle superiori ero molto scarso in aritmetica e in algebra, perché avevo, e ho ancora, una grande difficoltà nell’astrazione di numeri e lettere. Più tardi, quando la mia immaginazione venne attratta dalla geometria solida le cose andarono un po’ meglio, però a scuola non riuscii mai ad avere buoni risultati in queste discipline. Ma il percorso della nostra vita può prendere strane svolte.”
Scrive, d’altra parte, il fisico e matematico Roger Penrose, suo amico:
“Non crediate affatto a quello che Escher racconta sulla sua ignoranza matematica. Forse non aveva dei buoni voti, o forse non aveva avuto un buon rapporto con i professori. Ma una conoscenza molto chiara ed approfondita della matematica e della geometria ce le aveva eccome. D’altra parte questo è evidentissimo nei suoi disegni.”
È il solito problema, non soltanto italiano, a quanto pare: una scuola che non porta lo studente ad amare la matematica, a scoprirne la bellezza.
Per fortuna sua (e nostra) Escher ha dimostrato invece di amare le “costruzioni” matematiche, ed è così che nei suoi lavori ritroviamo moltissimi concetti fisici e matematici, quali:
– l’autoreferenzialità, nelle Mani che disegnano
– l’effetto Droste, un particolare tipo di ricorsività che si manifesta, per esempio, ponendo due specchi uno di fronte all’altro, in Galleria di stampe
– la topologia, per esempio le superfici bidimensionali in spazi tridimensionali, in Nastro di Möbius II
– l’infinito, tanto dal punto di vista filosofico che matematico, come preludio alle geometrie frattali, in numerose opere e particolarmente in Limite del cerchio I
– il moto perpetuo, attraverso un trucco percettivo che permette a una cascata di azionare un mulino che con la sua forza motrice riporta l’acqua al punto di partenza, in Cascata
– le tassellature (riempimenti completi, simmetrici e non) dello spazio, sia in due che in tre dimensioni, in numerose opere quali per esempio Mosaico II
– la dimensione spazio-temporale, come in Rettili, dove piccoli animali preistorici escono da un libro per poi rientravi
Bertrand Russell – 2 – I “Principia Mathematica”
Bertrand Russell – 1 – La vita
Carl Friedrich Gauss
Leonhard Euler
e i · π + 1 = 0
Essa fece affermare a un’ancora quindicenne Richard Feynman (un genio della fisica) di essere di fronte “alla più bella formula di tutta la matematica”, in quanto collega armoniosamente cinque numeri estremamente importanti: due interi (0 e 1), due numeri reali (π, il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro, ed e, la base dei logaritmi naturali) e un complesso (i, cioè la radice quadrata di -1). Usando le tre operazioni fondamentali della matematica (somma, prodotto ed elevamento a potenza) si ottiene questa sorprendente relazione, che mostra l’intrinseca connessione esistente fra enti scoperti individualmente a distanza di migliaia di anni l’uno dall’altro, condensata in una formula che ha in sé la profonda armonia di un’opera d’arte.
Nel 1776 venne tentata un’operazione per rimuovere la cataratta e per qualche giorno la vista di Eulero sembrò ripristinata. Poi sopravvenne un’infezione ed Eulero sprofondò di nuovo nel buio. Imperterrito, continuò a lavorare fino al 18 settembre 1783, quando morì di un colpo apoplettico.
Mauro e il Carnevale della Fisica
Cari amici, qualche giorno fa l'amica Annarita ha ospitato la quinta edizione del Carnevale della Fisica, che mi vede presente con la storia (che avete potuto leggere su queste pagine) di Ettore Majorana e con la segnalazione del post, anche questo già qui pubblicato, su Paul Erdős.
Ovviamente non posso che ringraziare calorosamente Annarita e invitare voi a leggere il post sul Carnevale…
Pál Erdős, il matematico errante
Paul (in ungherese Pál) Erdős (Budapest, 26 marzo 1913 – Varsavia, 20 settembre 1996) è stato un matematico ungherese, uno dei più prolifici ed eccentrici della storia. Ha lavorato e risolto (da solo o più spesso in collaborazione con altri) problemi legati a pressoché ogni settore della matematica.
Immaginate di essere un matematico, in un qualunque paese del mondo, nel periodo che va più o meno dal 1950 al 1995. Siete una sera a casa vostra, magari state riempiendo la lavatrice con vostra moglie, o finendo di consumare la cena, o sdraiato su un divano leggendo un libro di narrativa, insomma, state facendo una qualunque cosa, salvo che pensare alla matematica, ché anche i matematici ogni tanto riposano il cervello…
Bene, dicevo, immaginate di essere in questa situazione, quando, inaspettatamente, squilla il campanello della porta. Mai immaginando chi possa essere lo scocciatore a quest’ora insolita, andate ad aprire. Vi si para dinanzi agli occhi una figura ben nota ai matematici di quel periodo: un tizio dall’atteggiamento estremamente signorile, mitteleuropeo, ma vestito… non proprio male… trasandato, ma non sporco, con due valige ai suoi piedi che hanno certamente visto giorni migliori, addosso un abito stazzonato che avrà vissuto almeno due giri completi dell’orbe terracqueo… e però due occhi da furetto, vispi e gentili.
Il tizio che vi è davanti spalanca la bocca in un sorriso da qui a lì e vi apostrofa: “La mia mente è aperta!”
Ebbene, oggi un’apparizione del genere vi indurrebbe certamente a sbattere la porta in faccia al malcapitato, ma se foste un matematico del periodo che vi dicevo, non fareste altro che spalancare le braccia e accogliere come la manna dal cielo la persona che vi è davanti, dato che altri non potrebbe essere che Paul Erdős, il matematico la cui prolificità è paragonabile soltanto a quella di Eulero: di Eulero sono pervenute a noi 866 pubblicazioni (tutte scritte da lui soltanto), di Erdős 1485, di cui più di 500 in collaborazione con altri.
A quell’accoglienza seguirebbero due-tre settimane d'inferno (ovvero di paradiso matematico), nelle quali sarebbe bene che voi dimenticaste cosa è la famiglia, cosa il mangiare, e, soprattutto, cosa il dormire. D’altronde Erdős non conosce mezze misure: quando prende di punta qualcuno perché pensa che sia un bravo matematico non gli dà pace e lo sprona fino a trarne il meglio; non che lui stesso si risparmi, anzi. È capace di lavorare (e conseguentemente di far lavorare il suo temporaneo collaboratore) per 18-20 ore al giorno, sorreggendosi con forti dosi di caffè (è suo l’aforisma da me prediletto “Un matematico è una macchina che trasforma caffè in teoremi”) e qualche pillola di amfetamina. (Se per caso ve lo state chiedendo vi rispondo: no, io no, solo caffè per me, forte e amaro, null’altro, grazie!)
Quelle due-tre settimane saranno però la vostra fortuna di matematico: porteranno sicuramente a tre-quattro pubblicazioni, un centinaio di teoremi e, se siete fortunati (ovvero bravi…), un paio di scoperte che vi consegneranno all’immortalità matematica.
In compenso, l’ungherese che parla malissimo l'inglese, ma che parla splendidamente la lingua matematica, vi chiederà soltanto vitto (poco) e alloggio.
Che dite, è un baratto che vale la pena di fare?
Nato in Ungheria da genitori di origine ebraica, e laureatosi all’Università di Budapest, Erdős lasciò il continente nel 1934 perché, come ebreo, temeva la catastrofe che si stava per abbattere sull’Europa; si trasferì prima in Gran Bretagna e poi negli Stati uniti. Dopo la guerra, però, con il sorgere della guerra fredda e del maccartismo, lasciò anche questo paese e cominciò a vagabondare per il mondo, cercando ospitalità presso colleghi e amici.
Di Erdős tutto si poteva dire, tranne che fosse attaccato alle cose materiali: dagli anni cinquanta in poi non ha mai posseduto una casa, nemmeno in affitto: abitava presso colui con il quale decideva di collaborare; la prima volta che prese lo stipendio come insegnante allo University College di Londra, venne avvicinato, nei pressi della Euston Station, da un mendicante che gli chiese spiccioli per un tè; Erdős tirò fuori la busta con i soldi, ne prese una minima parte per sé e diede la busta al mendicante; tutto il denaro che guadagnava, a parte il minimo che gli serviva per vivere, lo dava a qualunque fondazione ritenesse meritevole, ad altri matematici che non avevano di che vivere o lo metteva in palio come premio per chi riusciva a risolvere problemi particolarmente complessi. “Dei socialisti francesi” era solito affermare “hanno affermato che la proprietà è un furto. Io sostengo semplicemente che è una seccatura.”
Aveva un vocabolario personale divertentissimo: Libro era un libro tutto particolare nelle mani di un’entità suprema, nel quale erano racchiuse tutte le verità matematiche e tutte le dimostrazioni più eleganti dei teoremi; quando scopriva o leggeva una dimostrazione particolarmente bella era solito dire: “Questa viene direttamente dal Libro!” Capi erano le donne, schiavi gli uomini, epsilon (in matematica la lettera greca ε indica una quantità piccola a piacere) i bambini, veleno erano gli alcolici, rumore la musica, predicare voleva dire tenere una conferenza, morire significava abbandonare la matematica e partire era il sostituto per morire. Dio era poi il SF (supremo fascista), perché non rivelava, se non a prezzo di immani fatiche, il contenuto del Libro, gli Stati uniti erano Samlandia, l'Unione sovietica Joelandia.
Visti l’estrema prolificità e lo spasmodico desiderio di collaborazione di Erdős, i matematici, che non se ne fanno scappare una, hanno inventato il numero di Erdős come proprietà caratteristica di ogni matematico (e non solo); vediamo in cosa consiste.
Allo stesso Erdős è stato assegnato il numero 0; a tutti quelli che hanno co-pubblicato almeno una volta con lui, il numero 1; a tutti quelli che hanno co-pubblicato con le persone col numero 1 (ma non con lo stesso Erdős), viene assegnato il numero 2, e così via. Con questo sistema si misura il grado di vicinanza a uno dei matematici più collaborativi della storia.
Attualmente si contano 511 “numeri 1” (e questo numero, essendo Erdős morto, è destinato a rimanere invariato, salvo scoperte di pubblicazioni in qualche rarissima rivista di matematica pubblicata in un paese sperduto dell'orbe terracqueo…) e 8 674 “numeri 2”.
Il vostro umile scrivano, contando (ed è una forzatura, me ne rendo conto, ma passatemela…) come pubblicazione la tesi di laurea, che porta ovviamente anche la firma del mio relatore, ha come numero di Erdős 5… niente male, davvero! Ecco la linea che unisce me a Erdős:
Mauro Antonetti – Andrea Schiaffino (Successioni monotone non lineari in spazi di Banach – è il titolo della mia tesi)
Andrea Schiaffino – Alberto Tesei (On the operator equation $AX-XA=iB$)
Alberto Tesei – Hans F. Weinberger (A density-dependent diffusion system with stable discontinuous stationary solutions)
Hans F. Weinberger – Michael Golomb (Optimal approximation and error bounds)
Michael Golomb – Paul Erdős (Michael functions which are symmetric about several points)
et voilá! Se qualche mio lettore fosse interessato a calcolare il proprio numero di Erdős, questo è il link da seguire: basta cliccare su Collaboration distance e su Use Erdős, inserire il proprio cognome e nome (o quello di qualcuno con cui si è pubblicato, nel qual caso al numero ottenuto bisognerà aggiungere 1) e cliccare infine su Search; in poche frazioni di secondo vi verrà restituito il cammino che porta dall'uno all’altro nome attraverso le collaborazioni scientifiche!
C’è una curiosità a proposito del numero di Erdős: perfino il giocatore di baseball Hank Aaron, che la matematica probabilmente non sa nemmeno dove stia di casa, ha numero di Erdős uguale a 1, dato che il matematico ungherese pubblicò un articolo sul numero dei fuoricampo battuti dall’americano e questi decise di donargli una palla e di firmarla assieme. (Ma allora il mio considerare la tesi come una pubblicazione non è del tutto errato!)
Una facezia simile gira nel mondo del cinema per Kevin Bacon: il numero di Bacon, che viene assegnato a chi ha lavorato in qualche film con lui, o che ha lavorato con chi ha lavorato con qualcuno che… insomma, avete capito! Dalla somma dei due numeri nasce poi il numero di Erdős-Bacon che però, provenendo da due campi così diversi, è posseduto da un numero molto ridotto di persone, principalmente da matematici (o scienziati) apparsi sullo schermo per qualche documentario scientifico. Ad esempio, l’attrice Natalie Portman possiede numero di Erdős-Bacon 6.
A chi volesse saperne di più sulla vita e sull’operato di Paul Erdős consiglio lo splendido libro di Paul Hoffmann L’uomo che amava solo i numeri: dentro c’è pochissima matematica, ma tantissima umanità.
Umorismo matematico
Un numero infinito di matematici entra in un bar. Il primo ordina una birra. Il secondo ordina mezza birra. Il terzo ordina un quarto di birra. Continuano così finché il barista li ferma e dice “Siete una massa di idioti!” e versa loro due birre.
La matematica è fatta per il 50% di formule, per il 50% di dimostrazioni e per il 50% di immaginazione.
– La statistica dimostra che la maggior parte delle persone sono anormali!
Un ingegnere crede che le sue equazioni siano un’approssimazione della realtà.
Un fisico pensa che la realtà sia un’approssimazione delle sue equazioni.
A un matematico non importa.
– Il numero che avete digitato è immaginario. Ruotate il telefono di 90° e provate di nuovo.