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Tre donne – fine (con una premessa)

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Prima della concusione del racconto, una (doverosa) risposta ai cari amici e amiche che hanno sollevato qualche rilievo.

  • Per quanto riguarda la velocità dei tempi con cui si succedono gli avvenimenti, faccio rispettosamente notare che non sto scrivendo una cronaca vera, ma un racconto di fantasia: dove la mettiamo la fictio? Rivendico il diritto di far agire i personaggi secondo come "io" li vedo, non secondo una presunta "normalità".
  • Analogamente per l’osservazione sul comportamento di Mara: è nata nel ’68 (o giù di lì), quindi comportamenti e cognizioni degli anni 70 le sono affatto sconosciuti (quelli degli anni 90, poi, mi sembra che siano stati ben diversi…). Inoltre Mara (come si evince dalla narrazione del suo divorzio) è donna di borghesia medio-alta, non certo adusa a linguaggi, conoscenze e comportamenti "di basso livello". Infatti la stessa domanda sulle squillo non le viene rivolta da Simona, più giovane e più "scafata".
  • Infine, per quanto riguarda il termine "squillo": sono d’accordo che è più giornalistico che colloquiale, ma usare il termine "prostituta" non sarebbe stato corretto, perché troppo connotato in maniera negativa, e Giulia, pur non essendo di estrazione familiare "alta", è donna di cultura e si considera tutt’altro che negativamente. Questo, fra l’altro anche per spiegare l’impressione che qualcuno ha avuto di un atteggiamento, da parte sua, "psico-sessuologico". Una persona intelligente come Giulia e che ha avuto le sue esperienze, non potrebbe,a mio avviso, che dire quelle cose e, soprattutto, dirle in quel modo.

Comunque, faccio tesoro delle osservazioni, che mi verranno utili nel momento in cui metterò assieme i pezzi per la stesura definitiva…

E ora, ecco l’ultima parte del racconto.

Degas

Qualche mese dopo…

Dopo un paio di giri attorno all’isolato, Mara riesce finalmente a trovare posto. Parcheggiare nei dintorni di piazza Zama è ormai diventata una missione impossibile, a qualunque ora del giorno, della sera e della notte. Chiude l’auto e si avvia a passo svelto verso via Latina. Lì, all’incrocio con via di Villa Aquari, c’è il ristorante che un paio di mesi prima hanno aperto lei e Giulia. Ovviamente si chiama Casbah… Non è molto capiente, appena una quindicina di tavoli, ma ha avuto, come lei prevedeva, un ottimo successo. Quasi tutte le sere fanno il pieno, e stanno già pensando che, se le cose continuano così, fra un annetto converrà prendere un posto più grande.

Entra nel locale, la cui serranda è alzata a metà, segno che Giulia è già al lavoro.

– Buongiorno, cara!

– Ciao Giulia, buongiorno! Tutto a posto, stamattina?

– Sì, sono appena passati i fornitori, hanno scaricato quello che avevamo ordinato, per oggi e soprattutto per la festa di domani è tutto a posto! Le fatture le ho messe nel cassetto, al solito posto.

– Bene, allora dopo darò un’occhiata. Hai sentito qualcun altro di quelli che abbiamo invitato per domani? Chi manca ancora?

– Mi pare nessuno, guarda, c’è la lista nello stesso cassetto…

Mara apre il cassetto e controlla la lista. Domani, scelto apposta perché è la giornata di chiusura, ci sarà una grande festa nel locale. Simona si è laureata, Michele ha fatto la maturità e Giorgio la licenza media. Sono stati mesi d’inferno, gli ultimi due, ma con la passione, la costanza e l’impegno, e grazie all’aiuto della sua fantastica amica Giulia, è riuscita a tenere testa a tutto e tutti.

Domani verrà anche Vittorio. È la prima volta che si rivedranno, dopo quel giorno di novembre. Si sono sentiti per telefono, sa che si è visto (finalmente!) con i loro figli, ma non ha mai voluto incontrarlo. Lui le ha chiesto come andava, dal punto di vista sentimentale. La sua risposta è stata gelida: “Cosa te ne importa. Adesso ci pensi?” Non ha pensato affatto di rispondergli che andava bene, anzi benissimo.

Con Simona, dopo quella famosa sera, si sono chiarite, hanno capito che provavano affetto reciproco, che quell’affetto era forse sulla strada di trasformarsi in qualcos’altro. Hanno deciso di fare una prova. Sono quattro mesi che Simona vive praticamente a casa sua. Con i figli ha fatto un discorso chiaro. D’altronde sono ragazzi che, grazie a lei (Vittorio, figuriamoci, è sempre scappato dalle responsabilità paterne di parlarci e di educarli…), sono intelligenti e aperti. E, per fortuna, sia Michele che Valeria ricordavano Simona e sta loro simpatica. Giorgio, poi, ha per lei una vera adorazione.

– Va bene, allora mi sembra che tutti quelli che dovevano confermare l’abbiano fatto. Senti e per quanto riguarda il servizio ai tavoli? Hai sentito Hassan e Aziz? Posso venire?

– Sì, me l’hanno confermato. Anzi, Hassan porterà anche suo fratello, che ci darà una mano in cucina, così noi saremo un po’ più libere per stare sedute insieme ai nostri ospiti.

– Ottimo! Allora, se per domani è tutto sistemato, pensiamo a oggi. A pranzo mi sa che non verrà molta gente, vero?

– No, al massimo faremo cinque-sei tavoli, credo. A meno che non vengano quelli del punto Snai, non vengono sempre di mercoledì?

– Ma no, ti sbagli, è il martedì il loro giorno!

– Ah già, vero. Allora sarà un pranzo di tutto riposo.

– Invece per stasera c’è quella tavolata da venti per i blogger di Splinder, te lo ricordi?

– E come no! Tanto li mettiamo nella saletta laterale, così potranno fare tutta la caciara che vogliono! Ascolta, io vado in cucina a preparare le ultime cose.

– Ok, io mi dedico alla parte amministrativa, allora. Senti, per pranzo cosa hai pensato per noi?

– Pensavo di fare una robina leggera, visto che domani sera ci sarà da strafogarsi: una spigola alla piastra.

– Ah, perfetto! Con quella salsina al coriandolo?

– Esatto! Ti piace, eh?

– Mmm… ho l’acquolina in bocca al solo pensiero!

E mentre Giulia si avvia in cucina, Mara tira fuori le fatture e lavora alla parte contabile della loro società.


 
Simona 2

Sempre seduti allo stesso tavolo dello stesso bar. Stavolta è il mio turno di essere taciturno e pensieroso. Tormento con sadismo una bustina di zucchero senza parlare, senza bere il caffè. Un lungo sospiro. Forse ci siamo. Verso la bustina di zucchero, mescolo, bevo il caffè, poi lo guardo:

– E così, hai capito?

– Già. Chi l’avrebbe mai detto?

– Nessuno. Nessuno. – Un’ altra lunga pausa. – Che poi mi chiedo…

– Sì?

– Possibile che nessuno di noi due se ne sia accorto?

– Beh…

– No dico – lo interrompo -, io ci sono stato insieme sei mesi, mica sei giorni come te.

– Calma. Io qualcosa l’avevo subodorata. Io, modestia a parte, con le donne ci so fare. Il fatto che con lei sia andato praticamente in bianco qualcosa mi aveva fatto capire.

– Ma che dici? Se hai chiesto consiglio a me…

– Ma io dicevo tanto per dire; sai che me ne importava a me! Io, di ragazze come Simona, ne trovo a ogni angolo di strada!

– Sbruffone. Apposta sono mesi che non ti si vede in giro con nessuna.

– Ma è un periodo così. Sono io che non ho voglia, in questo periodo.

– Sì, come disse la volpe all’uva…

– Scemo. Senti, piuttosto, che si fa stasera? Si va in disco?

– Ma sì va’… – Altra pausa. – Però una cosa mi rode ancora.

– Cioè?

– Se non ero io… e non ero io; e se non eri tu… e non eri tu: chi cazzo era quello o quella con la Golf nera?


 
Giulia 2

Giulia arriva a casa che sono le due passate. La prima cosa che fa appena entrata è sfilarsi le scarpe e farle scivolare in un angolo dell’ingresso. È talmente stanca che non ha voglia di sistemarle ora. La seconda cosa è, ovviamente, quella di sollazzare di grattini le micie, che, come hanno sentito la porta di casa aprirsi, le si sono fiondate addosso.
È stata una serata divertente, bella, ben riuscita, ma faticosa davvero. Accende lo stereo, a volume basso per non disturbare alcun coinquilino, e mette su il Cd delle Consolazioni di Liszt.

Passa in camera da letto, si toglie il vestito e lo ripone nell’armadio; reggiseno e slip finiscono invece in bagno, nel cesto delle cose da lavare. Indossa una leggerissima vestaglia, torna in salone, spegne la luce e accende, bassissima, quella di una piantana. Si siede sul divano e cerca di rilassarsi.

Piano piano le note dell’abate ottengono l’effetto che cercava. Si rialza un attimo per prendere dalla borsa il cellulare. Un sms: “Ti amo. Mi manchi.” Due sole frasi, ma per lei vogliono dire tanto. È Fulvio, un tecnico informatico che ha conosciuto al ristorante, dove viene certe volte a cena con gli amici. Ha cominciato a batterle i pezzi fin dalla prima sera. Lei era inizialmente restia, non aveva voglia di impegolarsi in una storia sentimentale, con la sua vita passata e il locale da avviare. Poi, un po’ per l’insistenza sbarazzina di lui, un po’ perché cominciava a sentirsi sola, e molto perché Fulvio in effetti le piaceva, ha ceduto e ha accettato il suo invito a cena fuori.

Cene fuori ce ne sono state altre, finché lui si è deciso a invitarla a casa. Era pacifico che sarebbero finiti a letto, lo desideravano ambedue. Ripensando a quella prima notte d’amore con Fulvio, Giulia si sente riscaldare. Hanno proprio dormito poco, anzi quasi niente. Aveva quasi dimenticato cosa vuol dire fare l’amore con il sentimento e senza secondi fini.

Mara e Simona sanno di Fulvio, e ogni tanto escono tutti e quattro assieme. Giulia, però, ancora non gli ha rivelato “quella” parte della sua vita.

Risponde all’sms: “Sei di una monotonia piacevole. Peccato che non sei potuto venire, è stato molto bello. Vorrei che fossi qui. A domani. Baci tanti.”

Mentre si spengono le ultime note della Consolazione XII, Giulia scivola in un sonno tranquillo, con la ferma intenzione di dire al più presto tutto a Fulvio e finalmente avere così con un uomo un rapporto paritetico e stabile.


 
Mara 2

… ma quel cuore, per fortuna, è tornato giù, nonostante che Mara avesse perso ogni speranza.

Nel letto, abbracciata stretta stretta a Simona, si sente di nuovo felice, dopo tanti anni.

Felice per quanto hanno saputo fare tre dei suoi quattro amori.

Felice perché è accanto alla persona che ama e dalla quale è amata.

Ma felice, e soprattutto sornionamente soddisfatta, per lo schiaffo morale rifilato a Vittorio. Quel coglione si è presentato con la sua nuova compagna, che, come Mara aveva sospettato, era proprio la bionda avvocato. Ma si è capito presto, dalle frecciatine verbali che i due si scambiavano, che i rapporti tra di loro non erano certo idilliaci. Mara l’ha presentato a Giulia soltanto come Vittorio, ripromettendosi di dirle in un secondo momento che era il suo ex marito. A un certo punto della serata, Vittorio, alzatosi con una scusa, ha avvicinato Mara mentre lei usciva dalla cucina.

– Scusa, ti posso parlare un minuto?

– Certo, dimmi pure.

– Ma non qui, a quattr’occhi.

– Vittorio, le cose che, oggi come oggi, potremmo dirci noi due credo che le possano sentire tutti. E ora scusami, ma ho da fare.

– Ma no, dài, non fare così! – Fa lui, afferrandola per un braccio.

– Toglimi queste zampacce di dosso! – Replica gelida Mara, alzando appena il volume della voce.

– Beh? Che succede qui? – È la domanda di Giulia, che esce in quel momento dalla sala con una pila di piatti sporchi e posandola su un tavolo lì accanto.

– Niente, stavamo parlando…

– Giulia, scusa se non te l’ho detto prima, ma questo è Vittorio, il mio ex marito…

Giulia lo squadra per bene e poi:

– Lui? Davvero? – E prorompe in una sonora risata.

– Ma… che c’è da ridere?  – Chiede Mara, stupita.

– Scusami, Mara, ma è troppo divertente, sapendolo adesso, naturalmente… Vittorio, eh? Guardami bene, “Vittorio”… non mi riconosci? O forse, se ti chiamassi “Giovanni”… mi riconosceresti meglio?

A quelle parole Vittorio osserva bene Giulia e sbianca in volto. Nello stesso istante, dalla sala esce l’avvocato, forse per vedere che fine ha fatto Vittorio. Giulia, che le dà le spalle e perciò non se ne avvede, continua imperterrita:

– Devi sapere, cara, che quest’uomo, quando io facevo “la vita”, era uno dei miei clienti più assidui. A me si era presentato come Giovanni e mi chiamava molto, ma molto spesso!

Al sentire queste parole, l‘avvocato, con uno scatto felino, si slancia contro Vittorio e gli rifila una borsettata in testa, urlando:

– Puttaniere!

Poi infila la porta del ristorante e fugge via. Appresso a lei, però, con uno sprint degno di un centometrista, fugge lo stesso Vittorio, mentre Mara e Giulia, rimaste per un momento attonite, con uno scoppio di risa, crollano l’una nelle braccia dell’altra.

– Ehi, ehi! Che succede qui? Fate ridere anche me? – Chiede Simona, uscendo dalla sala.

– Niente, amore, niente, dopo te lo racconto. – Risponde Mara, baciandola dolcemente. – Abbiamo soltanto svelato gli altarini di quel maiale del mio ex marito…

E mentre Mara si addormenta carezzando un fianco di Simona, un leggero sorriso ancora le rasserena il viso.
 
Epilogo

Resterebbe da dire di un personaggio, secondario ma non troppo. Herr Hans Schulenbacher, per dire. Lui ha tentato a Parigi lo stesso colpo che Giulia aveva inconsciamente sventato a Roma. Per sua somma sfortuna, e per fortuna del genere umano, a Parigi la sua strada si è incrociata con quella di una ex collega di Giulia, esperta però di arti marziali. Durante la colluttazione, seguita al tentativo del tedesco di tagliuzzarla, la ragazza, al secolo Marie Garrotte (un nome, un programma) l’ha soffocato a morte, premendogli un gomito sulla carotide.

RIP.

[In testa: Edgar Degas (1834-1917), Tre donne che si pettinano (1875-76), Phillips Collection, Washington DC]

Written by matemauro

29-11-2008 at 23:24

Pubblicato su racconti, tre donne

Tre donne – 7

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– Ascolta, Simo. Capisco che ti è difficile esprimerti a parole. Vediamo se con il mio aiuto riusciamo a uscirne fuori. È la prima volta che baci una donna, ovviamente. E secoli di cultura maschilista ti hanno instillato la convinzione che sia qualcosa di sporco. Hai voglia a essere ragazzi come voi, che si dicono moderni. Alla prima occasione, tutto quel ciarpame di cultura cattolica esce fuori e richiede il pedaggio. Ora, per come la vedo io, se è stata una cosa successa per caso, non vedo perché dovresti crearti tanti problemi. Si chiede scusa, ci si scherza sopra e via. Il fatto che però tu la stia prendendo in questo modo, mi fa pensare che ci sia qualche altra cosa sotto. E cioè che, pensandoci e ripensandoci, quello che è successo non ti sia dispiaciuto e tu ci abbia provato piacere. E anche in questo caso, t’assicuro che non c’è nulla di male. Il piacere, e anche l’amore, non riguarda né l’età né il sesso delle persone coinvolte, finché naturalmente sono tutte adulte e consenzienti. Almeno per come la vedo io. E di questa faccenda, sempre secondo me, dovrai parlarne con Mara. Figurati che anche lei mi aveva chiamato per chiedermi di vederci stamattina, presumo per raccontarmi la stessa cosa. Le parlerò oggi pomeriggio e sentirò cosa ne pensa.

Qui Giulia si ferma. Aspetta che le sue parole facciano l’effetto sperato su Simona. Dopo qualche attimo di titubanza, la ragazza le fa:

– Sì, Giulia, hai capito bene… Lì per lì ho provato una sensazione quasi di schifo, ma poi, a letto, ripensandoci bene, mi è sovvenuto invece un turbamento non spiacevole… Pensi che io sia in fondo in fondo… lesbica? – Chiede, timorosa, vergognosa, quasi supplicando una risposta negativa.

– Ma che dici, stupidina! Per un bacio e pure casuale! Puh! Ti dirò, io con altre donne ci sono stata a letto, eppure non mi considero lesbica, niente affatto! Ci sono delle circostanze nella vita che ti portano a fare certe esperienze, ma non è detto che poi quella sia la tua strada. Dunque non ti rompere troppo quella bella testolina che ti ritrovi, abbandona il pensiero che quello che è successo sia qualcosa di sporco o di peccaminoso, parla con Mara e vedete insieme come considerare l’accaduto.

– Ok, vedrò un po’… – risponde Simona, ma non sembra ancora del tutto convinta. Poi ripensa alla frase di Giulia. – Ma in che senso sei stata a letto con altre donne?

– Nel vero e proprio senso della parola. Simona, io fino all’altro ieri facevo la squillo… – Ecco, finalmente la confessione le è uscita fuori.

– Oddio, ma dici davvero?

– Ti pare che su una cosa del genere potrei avere voglia di scherzare? È stato un capitolo delle mia vita. Quando tornai a Roma, provai per un po’ a lavorare come segretaria, ma non faceva per me; poi ho incontrato una persona che mi ha proposto questa cosa, ho provato, ho visto che poteva funzionare e si guadagnava bene. Per qualche anno l’ho fatto, ma ora mi sono stancata e ho deciso di smettere. Con i soldi messi da parte vorrei aprire un’attività mia, che non c’entri niente con quello che facevo prima. Quindi, quando ti dico certe cose, ci puoi fare affidamento, cara, perché le ho vissute sulla mia pelle. E comunque, per quanto riguarda invece il tuo problema,  oggi pomeriggio mi vedrò con Mara, può darsi che me ne parli anche lei; possiamo risentirci per telefono stasera, che dici?

– Sì, certo.

– Bene, e rimane fissato l’appuntamento per sabato, pizza e cinema, no?

– Ovviamente, se non succede nulla nel frattempo…

– Allora ciao, Simo!

– Ciao!

Ore 17

– Eccomi qua!

– Ciao, Giulia, entra. Come stai?

– Bene, e tu?

– Anche io. Allora, vieni, andiamo nel mio studio. Ecco, accomodati. Ma prima, lo vuoi un caffè? L’ho appena fatto.

– Me lo chiedi? Risponde Giulia, sorridendo.

Mara si allontana un attimo e torna con due tazzine fumanti. Ne porge una all’amica, e si accomoda anche lei in una poltroncina.

– Allora, da dove cominciamo?

– Direi che potremmo cominciare dalla tua telefonata di stamattina. Cos’era quella fretta di vederci?

– Ah sì. Beh, diciamo che proprio ieri sera è successo un fatto…

– Aspetta. Se è per quello, già lo so. Ti ho detto che mi aveva telefonato Simona; bene, poi ci siamo incontrate e mi ha raccontato quello che è successo ieri sera. Ti dirò, lei ne ha avuto uno shock. Ancora stamattina non riusciva a ragionarci su a mente fredda.

– Sì, lo immaginavo. Ieri sera è scesa dalla macchina e si è infilata nel portone di casa, neanche avesse avuto cento diavoli alle calcagna.

– Ma tu come la vedi la cosa? – Le chiede Giulia, sorniona.

– Che vuoi che ti dica? Anch’io non è che abbia le idee chiarissime. Per carità, so benissimo che è stato un bacio del tutto casuale! Però un certo piacere l’ho provato. Ora non so se a causa del fatto che Simona la conosco praticamente da quando è nata e che, nonostante siano almeno dieci anni che non ci vedevamo, sento per lei ancora tanto affetto… Ma ti pare che a quarant’anni, e dopo venti di matrimonio!, mi possa innamorare di una ragazza di quindici anni più giovane?

– Io non ci troverei nulla di strano. Come ho già detto a Simona, età e sesso non contano in amore, purché si sia adulti e consenzienti.

– Beh, questo è sostanzialmente anche il mio pensiero; o almeno, lo era fino a ieri sera. Poi, sai, quando certe cose capitano a te, non sempre si riesce a coniugare razionalità e sentimento. Ma permettimi una domanda: a te è mai successo di innamorarti di una donna?

– Di innamorarmi, no. Ma ho avuto rapporti con altre donne, sì. Come ho già “confessato” a Simona stamattina, fino all’altro giorno facevo una professione un po’ particolare… la squillo.

– Ah! Ora capisco la tua allusione di ieri alla “libera professione”… – fa Mara, con un leggero sorriso sulle labbra -; ma scusa ancora questa domanda: le squillo non vanno con gli uomini?

– In genere sì; ma sai, ci sono certi che gradiscono fare l’amore con due donne contemporaneamente e allora…

– E ti piaceva?

– Dipende: certe volte sì, altre no. Ma sai, per me era soltanto un lavoro, non è che cercassi il piacere per me; era sempre tutto finalizzato a dare piacere a chi pagava…

– Ho capito. E ora hai smesso?

– Sì, mi sono stancata, non mi va più. Sai, è un ambiente molto strano, più di tanto non si regge; una deve essere furba e sapere quando è il momento di uscirne fuori, quando il gioco non vale più la candela. Un po’ di soldi da parte sono riuscita a metterli, vuoi perché, scusa la falsa modestia, ero veramente brava, un po’ perché li ho investiti bene. Quindi ora vorrei cercarmi un’attività “normale”, per così dire. Ed eccoci al motivo originario della mia visita di oggi.

– Ecco. Per questo, appunto, ti posso dare una mano; io faccio proprio la consulente commerciale. Mi dicevi che ti eri orientata verso una palestra. Io questa scelta te la sconsiglio. Quel tipo di attività ha ormai raggiunto il top e, dati, da una parte, l’alto livello di investimento che richiede e, dall’altra, i due/tre anni che ci vogliono per rientrare finanziariamente, rischieresti, oggi come oggi, di fare un bagno colossale. Invece stavo pensando che un’attività che va sempre e che sarebbe proprio adatta a te, vista la cenetta che ci hai preparato ieri sera, sarebbe quella della ristorazione. In particolare quella della cucina etnica, che sta andando forte e non prevedo che avrà crolli nel medio periodo.

– Dici? Ma di ristoranti etnici se ne trovano a ogni angolo di strada…

– Calma ragazza, c’è etnico e etnico… Io un po’ ne ho frequentati e t’assicuro che la stragrande maggioranza fanno veramente schifo. Invece un ristorantino maghrebino messo su da te, con la tua esperienza culinaria, sono certa che attirerebbe molta gente. Inoltre, rispetto alla palestra, c’è bisogno di un investimento minore e del rientro finanziario non ci sarebbe da preoccuparsi, almeno per un tempo medio. Anzi, se ti propongo questa cosa è anche perché io stessa avevo la voglia di provare una cosa del genere, ma non ho esperienze gastronomiche. Se invece unissimo le nostro forze, sono certa che sfonderemmo alla grande!

E così le due si immergono in una discussione su investimenti, costi, ricavi ecc. Le lasciamo volentieri a questa discussione; tanto siamo certi che la conclusione sarà positiva e che presto Roma vedrà la nascita di un ristorante chiamato “Casbah”…

(Fine 7ª puntata – continua…)

[In testa: Pablo Picasso (1881-1973), Due donne sedute in un bar (1902), Hiroshima, Museum of Arts]

Written by matemauro

27-11-2008 at 21:54

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Tre donne – 6

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vucciria

Lunedì, 9 novembre, ore 10

– Pronto, Giulia? Sono Simona…

– Simona! Buongiorno, cara! Come stai?

– Insomma…

– Cos’è successo?

– Una cosa, ma non mi va di dirla per telefono. Tu sei libera o hai da fare?

– No, no, sono libera. Vuoi che ci vediamo?

– Se non ti dispiace…

– Ma certo che no! Vuoi che scendo giù da te?

– Sì, magari… Possiamo vederci al bar dell’altro giorno?

– Certo, fra una un’oretta sono lì.

– Ok, grazie, a dopo.

Un quarto d’ora più tardi. Giulia è appena uscita dalla doccia.

– Pronto, Giulia? Sono Mara…

– Ciao, Mara! Come stai?

– Benino, grazie, e tu?

– Bene anch’io. Ma che succede? Problemi per oggi pomeriggio?

– No, no, è che volevo chiederti se potevamo vederci stamattina…

– Anche tu!

– Come anch’io?

– E sì, poco fa mi ha telefonato Simona, chiedendomi se ci potevamo vedere…

– Ah.

– Ma non è che è successo qualcosa tra voi due, ieri sera? Avete litigato?

– Ma no, no… Va bene, allora ci vediamo oggi pomeriggio come previsto.

– D’accordo… – fa Giulia, esitando. – Ciao!

– Ciao!

Dopo aver parlato con Mara, Giulia si veste. Nel frattempo, pensa. Sarebbe ben strano che queste due telefonate fossero indipendenti l’una dall’altra. Ma cosa può essere successo tra Mara e Simona? Mah, lo saprà tra poco…

Arriva al bar con un po’ di anticipo, non vede l’amica. Intanto si mette seduta e ordina un cappuccino. Si guarda intorno. Su viale Andrea Doria, il solito viavai di massaie e di attendenti (la zona intorno è un quartiere di caserme) che fanno la spesa del lunedì mattina.

Il mercato Trionfale, ora rinnovato, tanto da non sembrare più lo stesso, è meta ambita di molti, anche dei quartieri vicini. Si ricorda di quando ci veniva con sua madre, attaccata alla gonna per paura che nella calca la potesse perdere di vista. Riesce addirittura a ricordare i volti dei “bancaroli” dai quali si servivano. Chissà se vivono e lavorano ancora. Ricorda in particolare il fruttivendolo, il “sor Mario”, un omone alto almeno due metri. Aveva una simpatia particolare per lei. Spesso le regalava una primizia fuori stagione: un’albicocca a marzo, una pesca a maggio, una fragola a giugno, un grappoletto d’uva a luglio… Persa nei ricordi, a momenti non sente lo squillo del cellulare. Stefania.

– Cosa vuoi?

– Come cosa voglio? Non ti sei più fatta viva, hai deciso di non lavorare più?

– Esatto! E non voglio nemmeno che mi chiami più. Basta. Stop. Finito! Anzi, ti prego di cancellare questo numero dalla tua rubrica.  – E riattacca bruscamente.

Doveva proprio cambiare numero, lo farà più tardi. Nel frattempo, vede Simona che si avvicina, un’aria tesa e nervosa.

– Ciao, Simo!

– Ciao, Giulia.

– Cosa prendi?

– Un cappuccino, anch’io.

Giulia attira l’attenzione di un cameriere e gli fa segno di portare altri due cappuccini.

– Allora, cos’è successo? Te la senti di raccontarmi?

– Sì, anche se provo un po’ d’imbarazzo…

– Lo vedo, cara. Prenditi tutto il tempo che vuoi. Non potrà essere una cosa tanto grave, no?

– No, no… oddio… Vedi, ieri sera Mara mi ha riaccompagnato. Quando siamo arrivate sotto casa mia, ci siamo salutate e ci siamo impicciate… cioè… madonna, non so come dirlo… Insomma, nel salutarci, invece che… baciarci… sulla guancia… non so com’è… ma abbiamo finito per baciarci sulle labbra!

– E allora?

– Come “e allora”?

– Voglio dire, è stata una cosa voluta?

– Ma no… non mi pare… almeno non da parte mia…

– Ripeto: e allora? Se non c’è stata volontà non vedo dove sia il problema… Anzi, direi che non vedo il problema anche se ci fosse stata la volontà.

Simona la guarda, con l’aria supplichevole di chi chiede aiuto. Ha gli occhi umidi, vi si legge il disappunto per non saper gestire la situazione. È evidente che vorrebbe aggiungere qualcosa, ma non trova il coraggio. È giovane, e la sua relativa immaturità viene fuori tutta, in questo frangente.

[In testa: Renato Guttuso (1911-1987), Vucciria (1974), Palermo, Palazzo Chiaramonte Steri]

Written by matemauro

25-11-2008 at 21:34

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Tre donne – 5

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toulouse-lautrec

Le tre portano i vassoi con il cibo in tavola.

– Ora ci devi proprio dire cosa ci hai preparato, però… – chiede Mara.

– Questo è cous-cous vegetale. Ci ho messo carote, peperoni, melanzane, zucchine e ho aggiunto un po’ di brodo di pollo. Per secondo invece ho preparato dello spezzatino di montone.

– Montone? Ma non è pesante?

– Non certo come lo cucino io; pensa che è stato sul fuoco per tre ore! Sentirai, si scioglie in bocca per quant’è tenero… – risponde Giulia, soggiungendo – …e poi con questo vinello algerino vedrete che andrà giù liscio come l’olio!

E le tre iniziano a mangiare. Si può davvero dire che Mara e Simona facciano onore alla cucina di Giulia. Apprezzano di gusto tutto ciò che la loro amica ha preparato, anzi Mara chiede addirittura il bis. Sono talmente assorte nel gustare quello che hanno nel piatto, che la conversazione più o meno langue. Finito di mangiare, tutte e tre aiutano l’amica a sparecchiare.

– A chi è che va un caffè? – chiede Giulia.

– A me! – è la risposta di Simona, ma anche Mara lo accetta.

Mentre sorseggiano il caffè, Mara si avvicina a una libreria appoggiata alla parete e dà un’occhiata ai libri; accanto ad alcuni classici dell’Ottocento e del Novecento, vede dei saggi sulla condizione femminile e raccolte di poesie di autrici femminili. Simona le è accanto e prende in mano un volume: si tratta di Lady Lazarus e altre poesie, di Sylvia Plath.

– La conosci?

– Sì, è una delle poetesse che amo di più.

– Giulia, puoi prestarmi questo libro? Te lo rendo la prossima volta che ci vediamo.

– Ma certo! Però trattamelo bene, è uno dei libri cui tengo di più…

– Naturalmente!

Preso anche il caffè, Giulia si avvicina a una credenzina, la apre e fa:

– E adesso dovete assaggiare questo limoncello fatto in casa! Questo lo faccio io con le mie manine, eh? Non potete rifiutare…

Così le tre, finalmente, si accomodano sul divano.

– Mara, non so se mi posso permettere di chiederti una cosa…

– Ma certo Giulia, dimmi.

– So che probabilmente il fatto di parlarne ti causa dolore, ma credo anche che potrebbe servire a lenire quel po’ di sofferenza che hai… Parlo del divorzio, naturalmente.

– No, Giulia, non mi causa sofferenza né dolore; sai, oramai erano anni che si andava avanti con una routine che, almeno per parte mia, non era più sopportabile. Si avverte in  una coppia quando il rapporto ha esaurito la sua ragione d’essere, quando stare insieme, invece che una gioia, è diventata una fatica. E così, tutto sommato, il divorzio non è stato altro che prendere atto di una situazione che non era più sopportabile. E guarda che non mi atteggio a vittima; come al solito, credo che le responsabilità siano da ambedue le parti. Io, forse, in questi ultimi anni mi sono troppo dedicata ai figli e poco a lui; Vittorio, da parte sua, non ha fatto nulla per riconquistarmi, anzi… Evidentemente in lui si era esaurito quell’amore che ci aveva portato a sposarci, forse troppo giovani. A un certo punto, abbiamo preso il toro per le corna, ne abbiamo parlato chiaramente e abbiamo deciso che era meglio piantarla lì.
Simona è attentissima alle parole di Mara.

– Sì, credo anch’io che quando le cose tra due persone arrivano a quel punto sia tutto sommato preferibile lasciarsi. Ma non la senti anche come una sconfitta?

– Certo, in parte sì. Sai quante volte mi sono chiesta se e dove avevo sbagliato? Ma, in conclusione, gli errori li abbiamo fatti ambedue e non era possibile tornare indietro… Ehi, ma qui sto parlando soltanto io… Ora è il tuo turno, cara Giulia, di parlarci un po’ di te!

– Ah, ma di me è presto detto… Della mia infanzia vi ho già raccontato. Più o meno ho fatto la libera professionista – eufemismo neutro, non potendo dire ovviamente qual’è stata la sua attività -, ma ora ho deciso di prendermi un periodo di riposo e di mettere a frutto un po’ di soldi che ho messo da parte. Ve l’ho detto, ho una mezza idea di mettere su una palestra.

– Se vuoi, ti posso offrire la mia consulenza, è proprio la mia professione…

– Ma dài… l’accetto volentieri, figurati! E ora tocca a Simona raccontarci un po’ di sé…

– Guarda, di lei potrei raccontarti io certe cose… – fa Mara, ridendo.

– Cosa volete che dica… Posso dire soltanto che mi sento onorata di avere due amiche come voi! – afferma Simona, schernendosi. – È un tale piacere per me starvi a sentire che vorrei che restassimo sempre qui a chiacchierare. Ma purtroppo io domattina ho lezione all’università e non vorrei fare troppo tardi…

– Capito il messaggio. Giulia, mi sa che è ora che togliamo le tende, anche se mi dispiace, anch’io resterei volentieri.

Le tre si alzano e si avviano verso l’ingresso.

– Mara, guarda che ci conto sul tuo aiuto, come mi hai promesso, eh?

– Ma certo, anzi, sai che facciamo? Prendiamo direttamente appuntamento per domani pomeriggio, così ne parliamo con calma. Ti sta bene a casa mia?

– Certo, se sei sicura che non disturbo.

– Macché disturbo, tanto il pomeriggio i ragazzi sono sempre rintanati a studiare, vieni tranquillamente verso le cinque.

– Ok, allora noi due ci si vede domani. E con Simona? Vogliamo fare che sabato prossimo andiamo al cinema? Vi va?

– Certo, cinema e pizza, mi sembra un’idea grandiosa! – Accetta Simona, con entusiasmo.

Le tre si salutano calorosamente. Mara e Simona scendono, rimontano in macchina e rifanno, stavolta in discesa, la strada dell’andata, chiacchierando allegramente. Arrivano sotto casa di Simona.

– Allora ciao, cara, ci sentiamo per sabato, ok?

– Certo e grazie dell’accompagnamento!

Mara si sporge per baciarla sulla  guancia. Anche Simona fa lo stesso, ma prendono male le misure e, invece che sulla guancia, il bacio finisce sulle labbra. Una scossa elettrica sembra attraversarle. Il contatto dura poche frazioni di secondo. Forse perché sono ambedue stupite dell’accaduto. A Mara la sensazione di labbra femminili sulle sue non sembra del tutto spiacevole. Simona invece si stacca bruscamente.

– Scusami! Ciao! – Esclama e, aprendo bruscamente lo sportello, scende e si dilegua nel portone di casa.

(Fine 5ª puntata – continua…)

[In testa: Henri de Toulouse-Lautrec, Dans le lit, le baiser (1892), Collezione privata]

Written by matemauro

23-11-2008 at 14:47

Pubblicato su racconti, tre donne

Tre donne – 4

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Donne con gatti

Domenica, 9 novembre, ore 19

Mara suona al citofono di Simona.

– Ciao bella! Sono arrivata un po’ in anticipo, volevo salutare mamma e papà!

– Ma certo! Sali, al terzo piano.

– Mara! Che piacere rivederti dopo tanti anni!

– Lo stesso per me, Silvana, ti trovo bene. E Luciano?

– Ah, non c’è, è andato a vedere la partita da amici, tornerà dopo cena. Mi dispiace, avrebbe avuto piacere anche lui di vederti. Ma sarà per la prossima volta… perché tornerai, vero? Piuttosto, Simona mi ha detto di te e Vittorio. Ne sono addolorata, sai… Sembrava tanto un bravo ragazzo e invece…

– Che vuoi che dica? Anche a me sembrava…

– Sono contenta che vi siate riviste con Simona. Sai, sta studiando tanto in questi giorni, anche se ogni tanto fa tardi la sera… ma d’altronde è giovane, un po’ di divertimento ci vuole…

– Già, almeno lei se lo può permettere; io, col matrimonio e il primo figlio mentre facevo l’università, purtroppo non ne ho avuto la possibilità…

– Sì, ma tu sei stata un portento: mandare avanti la casa con un figlio piccolo e contemporaneamente laurearti non è stata cosa da poco; d’altronde si capiva fin da quand’eri piccola che avevi un gran bel carattere…

– Ora mi fai arrossire, Silvana…

– Ma no, ma no! Non lo dico per piaggeria; sai bene che ho sempre detto quel che penso, che non ho mai avuto peli sulla lingua. Piuttosto, mi sa che è ora che andiate, non vorrei farvi far tardi dalla vostra amica… Sciò, sciò… e divertitevi!

La macchina si inerpica per la salita di viale delle Medaglie d’Oro, mentre fanno a gara nel rammentarsi gli episodi divertenti di quando Mara faceva da baby-sitter a Simona. Si fermano davanti a una pasticceria, per prendere un dessert e non arrivare a mani vuote. Arrivate a casa di Giulia, trovano per fortuna parcheggio subito; la zona è di costruzione nuova, c’è molto verde.

– Giulia, siamo qui, ci fai salire?

– Secondo piano.

Giulia le sta aspettando sulla porta di casa. Un invitante profumino si è già diffuso sul ballatoio.

– Hmm… che odorino squisito! – Esclama Simona, mentre le tre si abbracciano.

– E sentirai anche il saporino, cara! Ho dato fondo alla scienza culinaria appresa da mio nonno maghrebino!

Mentre Mara e Giulia entrano nell’appartamento, compaiono due gatti tigrati che, amichevolmente, iniziano a strusciarsi contro le gambe delle nuove arrivate.

– Ma che belle micione! – Esclama Mara.

– Nessuna di voi è allergica, vero?

– No, no, anch’io ne ho uno – risponde Simona. – Una peste di cinque anni…

– Ora capisco il motivo per cui ci siamo state simpatiche da subito: siamo tutte gattofile! La mia è una siamese… – è invece la risposta di Mara.

Intanto Mara e Simona si guardano intorno, apprezzando l’appartamento di Giulia: spazioso, luminoso. L’arredamento è moderno, senza essere eccessivamente freddo. Al centro della sala da pranzo un tavolo già apparecchiato per tre. Nell’aria risuonano le note soffuse di un notturno di Chopin, diffuse da un impianto stereo visibile in un angolo. Alle pareti un paio di riproduzioni di Manet e di un autore che Mara non riconosce a prima vista; si avvicina e, non notando firme, chiede a Giulia:

– E questo quadro di chi è, cara?

– Di un impressionista boemo, Chittussi. Ti piace? Io ne ho visto qualche opera in un mio viaggio a Praga e me ne sono innamorata. Ma ora, o mi scusate o mi seguite in cucina; devo sorvegliare la fine cottura dello spezzatino di… No, meglio che non ve lo dica, per ora… – aggiunge, facendo l’occhiolino.

– Dài Simona, seguiamola e vediamo che cos’ha preparato. Cosa dicevi prima, a proposito di un nonno maghrebino?

– Già, mia nonna si è sposata subito dopo la guerra con un ufficiale marocchino che faceva parte delle truppe alleate che hanno sfondato la linea gotica. A lui piaceva l’Italia e così sono rimasti qui. È da lui e da mia nonna che ho imparato quasi tutto quello che so di gastronomia. Diciamo che la mia cucina è un misto tra quella maghrebina e quella emiliana. Stasera però… solo Maghreb! Spero che vi piaccia il piccante, perché tutto quello che porterò in tavola lo sarà… Ecco, qui è tutto pronto, possiamo metterci a tavola.

(Fine 4ª puntata – continua…)

[In testa: Félix Vallotton (Losanna, 1865 – Parigi 1925), Donne con gatti, 1898, tempera su cartone, Collezione Vallotton, Losanna]

A proposito, nessuno che dica una parola sulle scelte pittoriche che sto mettendo; ho cercato di variare, mettendo qualche "classico" e degli autori semisconosciuti che però mi sembrano molto buoni. Che ne pensate?

Written by matemauro

21-11-2008 at 21:33

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Tre donne – 3

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ornella bergese - tre donne di benares

Una mezz’oretta dopo. Sono sedute a un tavolino di un bar della zona. Roma ha deciso di regalare loro una giornata novembrina che sembra un preludio alla primavera, invece che all’inverno.

– E così, Mara, hai divorziato da Vittorio?

– Già. Ormai la situazione era diventata insostenibile. Non c’era quasi mai, a casa, e quando c’era era come se non ci fosse.

– I ragazzi come l’hanno presa?

– Che vuoi che ti dica? Anche loro pativano quella presenza/assenza. Più di tutti comunque ci sta soffrendo Valeria, era la più attaccata al padre…

– Ma quanti figli hai, Mara? – Interviene a quel punto Giulia, che finora è stata più o meno in silenzio.

– Tre ne ho: Michele ha diciott’anni e quest’anno ha la maturità, Valeria ne ha sedici e fa il liceo e Giorgio ne ha tredici e va ancora alle medie. E tu, Giulia? Sei sposata, hai figli?

– No, non sono sposata, non ci ho mai pensato, veramente. Sai, sono rimasta orfana di mamma e papà quando avevo quindici anni…

– Poverina, dev’essere stato tremendo…

– Già, un incidente stradale, io mi sono salvata per miracolo. Sbalzata dalla macchina e salvata da un covone di fieno, i miei invece sono morti nell’urto: un criminale contro mano. Poi sono andata a vivere con mia nonna, a Bologna, lì mi sono diplomata in ragioneria e ho dovuto cominciare subito a lavorare. Fidanzati ne ho avuti, ma nessuno mi ha mai dato quella spinta necessaria a pensare al matrimonio… Poi è morta anche mia nonna e così sono tornata a Roma…

– Ma lavori, sì?

– Diciamo di sì, va’… più o meno… ma ora sono alla ricerca di un’altra attività… – Non si sente ancora pronta, Giulia, a svelare quella parte della sua vita. – Infatti avrei intenzione di aprire una palestra, è per quello che stamattina ero lì, volevo darmi un’occhiata in giro…

Giulia si interrompe. Sa che se continuasse a raccontare dei suoi progetti per il futuro non potrebbe fare a meno di parlare anche di quella che è stata la sua vita finora. Le viene inconsciamente in soccorso Simona.

– E io pure, devo dire che ancora non ho capito bene come prenderli gli uomini..

– Simona, finché non capita quello giusto, prendili per quello che hanno… – Ironizza Mara, con un ampio sorriso sulle labbra che si trasforma in una risata generale.

– Già, è quello che sto più o meno facendo – fa Simona, una volta che si sono placate.

– Hai qualcuno cui tieni particolarmente? Scusa se mi impiccio, ma dato che ti conosco da quando sei nata…

– Mara, ma scherzi? Ti puoi permettere e come… No, nessuno mi interessa in modo particolare; ce ne sono due o tre con cui esco frequentemente, ma nessuno mi ha ancora fatto scattare una qualche molla.

A quel punto Mara dà una rapida occhiata all’orologio.

– Cavoli, è già mezzogiorno! Devo andare a casa, fra un po’ arrivano i miei prìncipi e devo preparare il pranzo…

– Ma come, così grandi e non si sanno preparare da mangiare da soli? – Le chiede sorridendo Giulia.

– Sì certo, quando io lavoro fanno tutto da soli, perfino Giorgio si cucina da sé il pranzo, ma oggi non avevo avvertito che non gliel’avrei preparato, perciò mi dispiace ma ci dobbiamo salutare, quantomeno io… Però scambiamoci i numeri di telefono e sentiamoci!

– Io farei anche di più – dice Giulia, – se vi va, perché non venite a cena a casa mia, domani sera?

Un assenso generale segue l’invito di Giulia. Scambio di numeri di cellulare e di indirizzi.

– Mara, mi potresti passare a prendere domani sera? Sai, io non ho la macchina…

– Ma certo cara, certo! Alle sette e mezzo sono sotto casa tua!

Uno scambio di baci e le tre si separano, ognuna per la sua strada.

(Fine 3ª puntata – continua…)

[In testa: Ornella Bergese (Cuneo, 1968), Tre donne di Benares, 2001, matita]

Written by matemauro

19-11-2008 at 21:15

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Tre donne – 2

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gauguin91

Le due raccolgono i rispettivi borsoni e si avviano verso lo spogliatoio. Continuano a parlare. Si avverte che un empatico filo di ragnatela le lega, molto sottile. Un filo che potrebbe diventare una gomena. Ci vorrebbe un catalizzatore, però…

A metà strada incrociano una ragazza, sui venticinque. In tuta. Bionda, minuta, bassina, una lunga treccia le scende sulla schiena. Un sorriso mentre la superano, poi Mara si volta.

– Scusa…?

– Sì? – Fa lei, voltandosi.

– Ma tu non sei Simona?

– Sì, ma… – Uno sguardo interrogativo, poi: – Ma tu sei Mara!

– Beh, vedo che ti ricordi ancora…

– Come potrei aver dimenticato la mia baby-sitter di quand’ero piccola? Come stai?

– Bene e vedo che pure tu… Giulia, questa ragazzina l’ho tenuta sulle ginocchia quand’era un fringuello! Io andavo al liceo e la tenevo con me il pomeriggio, quando la mamma era al lavoro.

– Simona, ciao.

– Ciao, Giulia.

– Ma come mai non ci siamo mai incontrate qui in palestra, Simona? Io sono anni che vengo qui…

– Io è soltanto da pochi giorni, prima andavo in quella a via della Giuliana, dove abitavo prima.

– Ah ecco, io invece quella l’ho abbandonata presto, anche se mi stava sotto casa. Non mi piaceva l’ambiente. Ma dimmi, ora dove abiti?

– Ci siamo trasferiti alla Balduina, con i miei.

– E fai l’università?

– Sì, scienze dell’educazione, alla Sapienza.

– Bene. Senti, salutami tanto mamma, papà e tuo fratello… A proposito, come stanno?

– Bene, mamma e papà sono in pensione, Giovanni s’è sposato e sta a Firenze, fa il restauratore d’arte. E i tuoi, tuo marito? I ragazzi?

– Mamma e papà si sono ormai ritirati in campagna, ti ricordi la casetta che avevamo a San Cosimato? I ragazzi stanno bene, grazie. Per il resto, ho divorziato proprio ieri…

– Oddio, mi dispiace, scusami…

– Ma no, non ti dispiacere… Piuttosto, scusami tu se ti ho trattenuto, vai pure dentro, noi stavamo andando via…

– Sì, anche se non è che ne abbia molta voglia; stamattina mi ero messa a studiare, ma non era aria, e allora ho deciso di venire qui. Ma perché non ci andiamo a prendere un caffè da qualche parte?

– Per me va bene, figurati! Giulia, tu sei libera o hai da fare?

– Libera come l’aria! Se Simona ci aspetta, il tempo di farci una doccia e di cambiarci…

– Come no? Tanto, anch’io devo rientrare per togliermi la tuta…

E si avviano verso lo spogliatoio.

(Fine 2ª puntata – continua…)

[In testa: Paul Gauguin, Tre tahitiane su sfondo giallo, 1899, olio su tela, Hermitage, San Pietroburgo, Russia]

Written by matemauro

18-11-2008 at 01:21

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Tre donne – 1

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tre_donne

Come preannunciato, ecco l’inizio del nuovo racconto che riunisce le storie delle tre donne di cui ho scritto negli ultimi tempi. Ancora non so di che lunghezza mi verrà, quindi preferisco pubblicarlo a puntate… Per chi volesse sapere gli antefatti, ecco i link alle storie di Mara, Giulia e Simona.

Sabato, 8 novembre, ore 8

"Ecco, da oggi sono di nuovo ufficialmente single." si dice Mara. Dopo colazione e spediti i figli a scuola, è pronta per vestirsi, di fronte allo specchio in camera da letto. "Scemo Vittorio, non mi ha mai saputo prendere per il verso giusto… Tre figli, sì, ma a letto è sempre stato un pianto, se non fossi stata io a prendere l’iniziativa, col cavolo che sarebbero nati quei tre figli…" Si dà un’occhiata generale: niente male per una quarantenne, davvero. Non a caso, ogni volta che cammina per strada avverte sguardi maschili che la seguono. "E allora oggi che si fa? Lavori in sospeso non ne ho, domani si va coi ragazzi dalla nonna… quasi quasi è una mattinata da passare in palestra…"

"Ora mi prendo un periodo di riposo. Stefania mi ha proprio rotto. Anzi, quasi quasi cambio numero di cellulare. E forse pure vita. Però un’occupazione la devo trovare. Un po’ di soldi da parte ce li ho. Un negozio? Mettere su una palestra? Potrebbe essere un’idea. E allora cominciamo a interessarci; c’è giusto quella qui dietro casa, stamattina ci faccio un salto." Questi i primi pensieri di Giulia, ormai sveglia nel lettone di casa. Non è mai stata capace di dormire in un letto normale, sarà che i suoi sonni sono sempre agitati e ha bisogno di molto spazio per dormire…

"Uffa! Un’altra giornata di studio del cavolo…" è il primo pensiero di Simona al risveglio. "Però ieri sera mi sono divertita con Giorgio. Certo, molto più che con Davide e Fabio, sono talmente pallosi quei due… Davide, poi… Ho provato a baciarlo la prima sera, la seconda sera ci siamo ritrovati a casa sua… avesse fatto un passo, avesse provato a toccarmi soltanto, sarei schizzata per aria… E lui invece che faceva il serio, il posato… Eppure per essere carino lo è, mi piacciono le spalle forti come le sue. Spalle e braccia dalle quali una vorrebbe essere abbracciata…" Si alza, va in bagno per il rito mattutino e poi si mette subito alla scrivania. Comincia a leggiucchiare svogliatamente La genesi del numero nel bambino, il testo sul quale deve dare il prossimo esame. "Certo che oggi proprio non è giornata… Ci vorrebbe qualcosa di diverso… Ma sì, vado in palestra, questo libro di Piaget me lo studio oggi pomeriggio…"

Mara entra a grandi passi nella palestra. Si dà un’occhiata intorno. Poca gente, per essere sabato mattina, meglio così. Ha sempre odiato la ressa che si crea in certi momenti. E nessuno conosciuto. Meglio ancora. Oggi è una giornata particolare, ha proprio voglia di scaricare la tensione dei giorni precedenti sudando un po’. E non vuole doversi sorbire le solite chiacchiere femminili.

Si avvicina al tapis roulant. Lo mette a un passo lento. Inforca le cuffie del lettore mp3. Comincia a camminare, ascoltando la Pastorale di Beethoven. Quella musica le è sempre entrata nel cuore e nelle vene. Ha l’effetto di calmarla, di predisporla a pensieri positivi. Passano i minuti e la calma le pervade il corpo, ripulendolo dalle tossine accumulate il giorno prima, nella cripta avvocatizia.

All’improvviso una voce femminile la distrae.

– Cavoli, come funziona ‘sta cosa?

Apre gli occhi e si volta nella direzione della voce. Alla sua sinistra un’altra donna, forse un po’ più giovane di lei, sta armeggiando alla consolle di un altro tappeto.

– Posso darti una mano? – Si offre Mara.

– Sì, grazie. Sai, è la prima volta, sono un po’ imbranata.

– Allora ti consiglio di partire piano, poi magari, se te la senti, aumenti la velocità. Ecco guarda, così te l’ho messo a due chilometri all’ora.

– Ti ringrazio. Ah, io mi chiamo Giulia.

– Mara, piacere.

E dopo una stretta di mano e un sorriso, risalgono ognuna sul proprio tappeto. Mara non si rimette gli auricolari, non vuol dare l’impressione di volersi isolare. Dopo un po’, però, la musica techno ad alto volume diffusa nella palestra le comincia a dare fastidio. Aumenta il ritmo della camminata. Chissà com’è, le pare che aumenti anche il volume della musica. Vorrebbe rimettersi le cuffie del lettore, ma non vuole sembrare scortese verso Giulia.

– Ah! Per me basta! – Fa Giulia, saltando giù dal tappeto. – Tu continui?

– Ma no, anche per me basta. – Fa Mara, scendendo anche lei e spegnendo il macchinario. – Poi non sopporto questa musica, m’innervosice. A te piace?

– Macché, non la sopporto. Pensa che io a casa sento soltanto classica, o al limite canzoni francesi degli anni cinquanta, comunque musica di tutt’altro genere!

– Beh, allora abbiamo gli stessi gusti; pensa che prima che tu arrivassi stavo ascoltando Beethoven!

(Fine 1ª puntata – continua…)

[In testa: Margherita Fascione (Rocca d’Evandro, CE, 1961), Tre donne, olio su tela]

Written by matemauro

14-11-2008 at 22:28

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Ancora un racconto

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due caffè

Simona

Tormenta con sadismo una bustina di zucchero senza parlare, senza bere il caffè, immerso in chissà quali pensieri. Eppure ne avremmo di cose da dirci, da un pezzo non ci vediamo. Un lungo sospiro. Forse ci siamo. Versa la bustina di zucchero, mescola, beve il caffè, poi mi guarda:

– Ricordi la settimana scorsa, quando ci siamo incrociati, proprio in questo bar?

– Come no, io uscivo mentre tu entravi, e ci siamo dati appuntamento a oggi.

– Però non sai che proprio quel giorno qui ho conosciuto una ragazza; ci sono uscito quattro volte.

– Frena. L’hai conosciuta una settimana fa e ci sei uscito quattro volte? La data del matrimonio?

– Non scherzare, sai com’è, le prime volte….

– Sì, ma i vent’anni li abbiamo già passati da un bel po’. Dài, dimmi: è una cosa seria?

– No… oddio, non so, potrebbe anche essere. Non è questo il punto: credo che abbia un altro.

– Gliel’hai chiesto?

– Sì, dice che è single.

– E allora?

– Non so se l’hai vista, prima di uscire dal bar.

– C’era un bel po’ di gente, prova a descrivermela.

– Ma no, non importa… Comunque, la prima uscita, il giorno dopo, è andata bene.

– Bene in che senso? Fino in fondo?

– Magari. No, bella serata, tranquilla… Alla fine ci siamo baciati, è stata lei a prendere l’iniziativa.

– E tu ti sei fermato? Allora hai una coscienza…

– Scemo. Ho fatto la scena di quello che è superiore. Ha funzionato. Ma senti cos’è successo la seconda sera. Non faccio nemmeno in tempo a salutarla che lei mi dice di dover rientrare presto.

– Ahi.

– Infatti: capisco subito che qualcosa non va, anche perché continua a messaggiare con chissà chi. Però gioco il jolly: la invito a casa mia.

– Fammi capire: è la seconda volta che uscite, il terzo giorno che vi conoscete, lei vorrebbe essere da tutt’altra parte e la inviti a casa tua? Sei proprio oltre…

– La cosa bella è che mi dice di sì. Con aria forse non troppo convinta, ma dice di sì.

– E…

– Macché, niente, peggio della sera prima. Un cadavere.

– E ti sei fatto scrupoli per così poco?

– Eddài. Insomma, la riaccompagno a casa; al suo ennesimo "niente" in risposta alla mia domanda "cos’hai stasera?", insisto e lei finalmente si decide a dirmi la causa del suo atteggiamento: soffre di Dap.

– Attacchi di panico? Mi pare più semplice la spiegazione che non sei il suo tipo.

– Oppure ha un altro, anche se si dichiara single.

– Comunque è un modo gentile per scaricarti.

– Già, ma dopo siamo usciti altre due volte.

– Ah. E…?

– Niente.

– Il tuo record negativo.

– Ma sì, qualche bacio, qualche preliminare…

– Ok, terza e quarta uscita in bianco.

– Beh, bianco per modo di dire…

– Non fare gesti, ci vedono.

– Comunque. Dopo quattro sere consecutive insieme, lei il quinto giorno scompare, né una telefonata, né un messaggio. La chiamo io, incazzato al punto giusto. Usciamo per quattro sere di fila e il quinto giorno non ti fai sentire? Lei mi dice "ci vediamo stasera, ma devo rientrare presto".

– Ancora ‘sta storia?

– Già. Dice che i suoi l’hanno sgridata perché rientra tardi, dorme poco e si alza tardi per studiare; ah, non t’ho detto che va all’università.

– Ah.

– Che hai?

– Niente.

– Pure tu con la storia del "niente"? Che hai, ti senti male?

– No, niente… Tutto a posto. Pensavo che effettivamente lei potrebbe avere un altro.

– Bella scoperta, l’ho pure visto.

– Eh? Come, l’hai visto?

– Sì,  ieri e l’altro ieri sono stato sotto casa sua.

– Ma… ma… scusa, quanto sei rimasto lì?

– Pochissimo. Se ci vedevamo sempre alle 21, vuol dire che le 21 è l’orario ufficiale d’uscita e io alle 21 ero sotto casa sua… Ma si può sapere che hai, che ti agiti in continuazione?

– E…  il tizio?

– Non l’ho visto, ho visto solo la macchina, una Golf nera.

– Tutte e due le serate?

– Sì, certo, sempre la stessa macchina.

– Lui, il tizio della Golf, com’è?

– Ma sei sordo? Non l’ho visto, solo la macchina.

– E lei come si chiama?

– Simona.

– Appunto.

– Appunto che?

E adesso, come glielo dico che la mia ragazza si chiama Simona? Che una settimana fa eravamo qui insieme, ma io sono uscito dal bar mentre è rimasta dentro? Che in questi ultimi giorni non ci siamo visti perché lei doveva andare a letto presto per studiare per un esame all’università? Che dice di soffrire di Dap? E che, soprattutto, io non ho una Golf nera?

Written by matemauro

11-11-2008 at 21:34

Pubblicato su racconti, tre donne

Un altro racconto

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Giulia

Giulia

Giulia chiude silenziosamente la porta dietro di sé. Esce sul corridoio e si dirige verso l’ascensore.

Arrivata nell’atrio, il portiere di notte le si rivolge con tono mellifluo:

– Mi sono permesso di chiamarle un taxi…

Evidentemente, l’uomo della stanza 512 lo aveva preavvertito. Giulia esce, nel fresco della novembrina notte romana. Rabbrividisce un po’, chiudendosi al collo la pelliccia di finto visone.

Fortunatamente il taxi arriva subito. Si abbandona sul sedile posteriore. Finalmente la giornata è finita.

– Buonasera, signori’, indo’ la porto? – fa il tassista, sorridendo.

– Via Trionfale 10342, per favore.

Apre la borsetta, la fruga e ne tira fuori il cellulare. Lo riaccende. Quasi subito appare il messaggio di una telefonata mancata. Stefania, ovviamente. Cerca il numero in rubrica e lo seleziona.

– Sono Giulia.

– Dove sei? Tutto bene?

– Tutto bene, sì, sto andando a casa.

– Non puoi, c’è un altro cliente, allo Sheraton.

Si drizza sullo schienale, la tensione che ritorna.

– Non se ne parla. Sono stanca, chiama qualcun’altra.

– Impossibile, a quest’ora sei l’unica ad avere il cellulare acceso.

– Non m’importa, non voglio lo stesso, non ce la faccio – ripete.

– Se mi dai buca, con me hai chiuso.

– La solita ricattatrice. E poi chi sarebbe? Lo conosco?

– No, è uno nuovo, un tedesco di passaggio a Roma.

– Allora non se ne parla proprio – replica, secca.

– Perché?

– Non faccio tedeschi, lo sai.

Inutile ripeterle il discorso che le ha già fatto una volta. Di quanto le siano rimasti impressi i racconti di sua nonna, contadina sull’Appennino tosco-emiliano. Delle sue storie di violenze, stupri, eccidi. Del suo rifiuto psicologico di rapporti con chiunque parlasse quella lingua, barbara al suo orecchio. Rifiuto che è passato da nonna, a mamma, a Giulia. E che ora le fa rifiutare qualche centinaio di euro.

– Ti ripeto, Giulia, se non vai, con me hai chiuso – quasi isterica.

– Fa’ come ti pare. Ciao.

E chiude il cellulare, spegnendolo.

– Continuo per la Trionfale, signori’?

– Sì, certo.

Giulia si appoggia con un sospiro allo schienale, sfilandosi le scarpe dal tacco troppo alto e massaggiandosi i piedi.

Qualche minuto più tardi. Hans Schulenbacher, grossista di cereali di Amburgo, riattacca il telefono, dopo la telefonata di Stefania.

– Mi spiace, Mein Herr, non ho una ragazza libera.

Peccato.

Riprende da sotto il cuscino l’affilato coltello che vi ha nascosto poco prima. Lo rimette nella valigia, già pronta per il ritorno a casa dell’indomani.

Peccato…

Written by matemauro

08-11-2008 at 14:22

Pubblicato su racconti, tre donne