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Di matematica ma non soltanto…

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Breve storia dei linguaggi di programmazione – 1

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Più o meno un mese fa ho scoperto un sito che per me, matematico, informatico (nato programmatore) è una miniera d’oro per tenere allenata la mente: parlo di Euler Project, una raccolta di problemi attinenti alla matematica e alla programmazione. In questo periodo ho risolto circa 150 dei 350 (e rotti) problemi che vi sono attualmente (ne esce uno nuovo a settimana). I temi trattati spaziano dai numeri primi al triangolo di Pascal (di Tartaglia per noi italiani ;-)), dalla geometria alle equazioni diofantee, dai triangoli magici ai problemi di conbinatoria e così via.

Naturalmente i primi problemi (quelli di numero più basso) sono stati quelli più facili da risolvere, alcuni addirittura li ho risolti con carta e matita (non penna, ché qualche errore scappa sempre! :-D), poi, aumentando la difficoltà, sono dovuto ricorrere al computer e dunque ai linguaggi di programmazione… 😉

Per me, che ho iniziato a programmare ai tempi dell’Università con la mitica TI-58 e poi con lo ZX-80(1), è stato quasi un tornare indietro di una trentina d’anni, ai tempi belli dell’informatica (se pensate che quando feci il corso di programmazione per l’azienda alla quale ho dato il meglio di me stesso per vent’anni, lavoravamo ancora con le schede perforate, penso che capiate di cosa sto parlando… ;-)).

È ovvio che ho iniziato a sviscerare i problemi del Progetto Eulero con gli strumenti più semplici dell’informatico, il Basic, poi lo Small Basic, quindi il Visual Basic, accorgendomi però che, man mano che cresceva il grado di difficoltà, occorrevano strumenti sempre più potenti per riuscire a rimanere nel tempo di un minuto che il sito dà come limite (naturalmente virtuale, dato che non c’è nessuno che controlla, ma in questi casi la propria coscienza è il giudice migliore… ;-)) per ottenere la soluzione corretta.

Dunque, per migliorare le mie prestazioni, sono passato man mano a strumenti (linguaggi) più evoluti: il C++, il Java, il Python, lo Haskell, e altri che adesso non sto a elencare; linguaggi che, a parte i primi due, sinceramente non conoscevo (o conoscevo soltanto per sentito dire). E così ho scoperto un mondo intero di linguaggi dei quali avevo poca o nulla cognizione.

Questo processo personale mi ha portato a pensare di poter diffondere, tra il colto e l’inclita (cit.), una piccola ma densa storia dei linguaggi di programmazione, anche perché tutto sommato rappresentano uno spaccato della storia dell’informatica, scienza che tanta importanza ha al mondo d’oggi.

E già questa sarebbe stata una motivazione sufficiente. Poi però ho scoperto che a metà gennaio ci sarà la prossima edizione (la n. 45) del Carnevale della Matematica, al quale più volte ho partecipato, e che a organizzare questa edizione sarà la mia amica Annarita e che il tema del Carnevale di gennaio sarà “Teoria della computazione, storia del pc e dintorni” e dunque, come si dice, con questa serie di articoli acchiappo due piccioni con una sola fava! (absit iniuria verbis…. :-D)

Bene, come introduzione per far venire l’acquolina in bocca a chi è interessato (e spero anche a chi lo è meno ;-)) mi pare che basti, a rileggerci alla prossima puntata!

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(1) Per chi sa un po’ di storia delle calcolatrici programmabili e dei primi computer da tavolo che si collegavano al televisore di casa: ebbene sì, io ero per la Texas Instruments contro l’HP e per la Sinclair contro l’Amiga-Commodore! Come disse qualcuno (ma pare che la citazione, almeno in questo caso, sia apocrifa), ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati… 😉

Written by matemauro

28-12-2011 at 01:04

La Sardegna medievale

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Ogni paese è un palcoscenico, un microcosmo, una metafora del mondo…
Racconta il tuo villaggio e racconterai il mondo. (Lev Tolstoj)

Traggo spunto da questo post, che racconta un po’ della storia medievale della Sardegna, e dice anche delle cose interessanti su Eleonora d’Arborea (da me raccontata in quest’altro post), perché mi ha colpito questa cartina della Sardegna medievale, nella quale è riportata la suddivisione territoriale dell’isola in quel periodo.


Sono praticamente sicuro che cartine analoghe potrebbero essere (state) prodotte anche per altre regioni italiane, essendo ricchissima la nostra storia di “suddivisioni” assai più che di “unioni”… Mi piacerebbe che qualcuno che fosse in possesso (o che fornisse un link apposito) di cartine analoghe me le segnalasse, perché credo che fornirebbero un contributo utile a comprendere le ragioni del territorialismo spinto che affligge questo paese.

Mi ha colpito, nel leggere i nomi, quella zona denominata “Brabaxiana o Valenza”, mi ricordava troppo la “Valencia” spagnola… e infatti quel territorio venne dominato nel periodo precedente dalla dinastia degli Aragonesi, cioè i regnanti che, fra l’altro, finanziarono Colombo (attraverso Isabella di Castiglia) per la sua ricerca di una via alternativa verso le Indie; stranamente, invece, non ho trovato, nella zona nord-occidentale, alcuna denominazione che ricordasse la dominazione castigliana: eppure si dice che in provincia di Nuoro si parli il castigliano più puro! 😀

Written by matemauro

23-11-2011 at 11:11

Pubblicato su sardegna, storia

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Barzelletta (con un pezzo di storia…)

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ETR_500_Frecciarossa

I tecnici della British Airways hanno studiato una specie di cannoncino per lanciare polli morti ad alta velocità contro i parabrezza degli aerei di linea: lo scopo è quello simulare i frequenti scontri con gli uccelli in aria, verificare la resistenza dei parabrezza e prendere le adeguate contromisure.

Alcuni ingegneri italiani, avendo sentito parlare di questo tipo di test, sono impazienti di provarlo sul parabrezza dei loro nuovi treni Frecciarossa. Prendono perciò accordi con la compagnia inglese e il cannoncino viene spedito ai tecnici italiani.

Quando l’arma viene attivata la prima volta, gli ingegneri italiani restano di stucco: il pollo sparato dal cannoncino si schianta contro il parabrezza infrangibile e lo fracassa, rimbalza contro la console dei comandi, stacca la testa del manichino messo al posto di guida, spezza in due lo schienale della poltroncina del macchinista e si va a incastrare nella parete posteriore della locomotrice, neanche fosse una delle tre pallottole sparate da Harry Lee Oswald il 22 novembre 1963.

Rammento che, secondo il rapporto della commissione Warren, incaricata delle indagini sull'assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy, le tre pallottole vennero sparate in 2 secondi e mezzo, contro un bersaglio in movimento, con un fucile della prima guerra mondiale, e facendo un macello nelle carni del presidente e del governatore Connolly, con una pallottola che prima di fermarsi eseguì sette-otto cambi di direzione… Ma scusate la digressione, continuo con la barzelletta… 

Sconvolti, gli italiani trasmettono agli inglesi i risultati disastrosi dell’esperimento e i progetti del loro parabrezza, supplicandoli perché diano loro dei suggerimenti.

Arriva immediatamente un fax in risposta, lapidario:

“Scongelate i polli, prima.”

Written by matemauro

29-06-2010 at 21:13

Pubblicato su storia, umorismo

Spigolature – Del revisionismo storico

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spigoli
Revisionismo (dal dizionario De Mauro): orientamento storiografico o ideologico tendente a reinterpretare gli eventi di un periodo storico invalidando tesi e notizie consolidate.

La storia, in quanto scienza umana, quando vede applicato il metodo scientifico alla propria materia è sostanzialmente revisionista. Il revisionismo storico, però, per essere accettabile e accettato a livello scientifico, deve essere basato, per esempio, su nuove fonti, o su nuovi metodi di indagine; non può essere basato sulla rimasticatura o, addirittura, sulla falsificazione di ciò che è storicamente accertato.

Ebbene, da qualche anno è in corso, da parte della Chiesa cattolica, un "processo revisionistico" della storia, avente quale obiettivo la negazione di 500 anni di crimini contro l’umanità: crociate, persecuzione e sterminio di "streghe" ed "eretici", di ebrei, di scienziati ecc.

Poiché tali resoconti storici sono ampiamente documentati e non se ne può negare l’esistenza, la strategia cattolica tende a "reinterpretare" alcuni di questi fatti come "diatribe medioevali". Ciò che preme ai nuovi inquisitori dell’informazione è di poter far apparire del tutto marginale il ruolo del clero dell’epoca, che in realtà era il principale mandante.

Certo, a molte autorità civili medioevali poteva far comodo eliminare fisicamente gli eretici, che erano spesso insieme anche oppositori politici, o quantomeno un "pericoloso" esempio di libertà individuale in un’era di obbedienza assoluta (non a caso "eresia" proviene dal greco αἵρεσις, "scegliere") ma ciò non diminuisce la responsabilità storica e morale della Chiesa cattolica, tant’è che il passato papa Giovanni Paolo II sentì il bisogno di chiedere perdono per queste gravi colpe, sebbene un po’ troppo frettolosamente e senza particolari approfondimenti.

Anzi, proprio a partire da tale richiesta di perdono, che risale al 2000, alcuni apologeti cattolici hanno iniziato a compiere l’opera di revisionismo che ha, ovviamente, trovato l’immancabile complicità della RAI.

Un tristissimo episodio di tale disinformazione fu la puntata di Voyager (l’infausta tramissione del falso documentarista e falsissimo divulgatore Roberto Giacobbo) del 16 febbraio 2005, nella quale si è avuto il coraggio di asserire che nel 1209 a Béziers (Francia) non ci sarebbe stata alcuna spedizione dell’Inquisizione, ma solo un "regolamento di conti" feudale, per il quale "nessuno deve chiedere scusa".

Quando è, invece, noto (ovverossia storicamente accertato) che a compiere l’assedio e il massacro di 20 000 abitanti della città, colpevoli di ospitare una vasta comunità catara (o albigese, comunque di persone che si rifacevano dottrinariamente alle origini del cristianesimo, contro ogni sovrastruttura di potere romano) fu il legato papale Arnauld Amaury, che, in una lettera scritta a papa Innocenzo III, il cui originale si trova (pensate un po’, in bella vista) nella biblioteca vaticana, si vanta di quanto era stato fatto, usando le seguenti testuali parole:

«Les nôtres, n’épargnant ni le sang, ni le sexe, ni l’âge, ont fait périr par l’épée environ 20 000 personnes et, après un énorme massacre des ennemis, toute la cité a été pillée et brûlée. La vengeance divine a fait merveille.»

(I nostri, non rispettando né rango, né sesso, né età, passarono a fil di spada circa ventimila persone; a questa carneficina di nemici seguì il saccheggio e l’incendio della città intera. La vendetta divina ha compiuto meraviglie.)

Pare, inoltre, che a un soldato che gli chiedeva come fare per riconoscere i catari dai fedeli romani, lo stesso abate così avesse risposto:

«Uccideteli tutti. Dio saprà riconoscere i suoi!»

Tanto per la chiarezza storica.

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16-02-2010 at 15:02

Pubblicato su cultura, revisionismo, storia

A proposito di Patroclo…

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almiranteNon c’entra nulla con il sonetto precedente, né tantomeno con l’Iliade o con la guerra di Troia, ma il nome di Patroclo mi ha fatto sempre venire in mente quest’episodio, al quale io non sono stato presente, ma che mi è stato raccontato in seguito da persona degnissima di fiducia.

Si era a metà degli anni settanta e per le vie di Roma, soprattutto nella zona universitaria, si fronteggiavano spesso, armati di caschi e bastoni, giovani di destra e di sinistra (quelli di destra un po’ meno giovani, a dire la verità: molti erano picchiatori professionisti, che si erano “fatti le ossa” – rompendole agli altri – negli anni 1966-’68 alla Sapienza, come Teodoro Buontempo – il famigerato “er pecora” – Giulio Caradonna e altri, spesso guidati dallo stesso Almirante).

I neofascisti (rigorosamente con i capelli cortissimi – a zero ancora non usava -, Ray-Ban a specchio, e maglioni o giubbotti neri) avevano un’usanza particolare: per segnare l’inizio dell’attacco contro i giovani di sinistra (a loro volta rigorosamente con i capelli da lunghi a lunghissimi, e addosso l’eskimo verde d’ordinanza) urlavano il nome di un dio nordico, Odino.

Ebbene, una fredda mattina del ’74 (sarà stato gennaio o febbraio), da un liceo classico nei pressi della città universitaria stava partendo un corteo degli studenti di sinistra. All’angolo opposto erano schierati i neofascisti. Slogan, grida e minacce si alzavano con ritmo crescente da un gruppo e dall’altro, quando uno dei capi fascisti urlò: “Odinoooo!!!”. Ci fu un attimo di pausa, poi dal corteo della sinistra si levò alta una voce: “Patrocloooo!!!”. Seguì qualche secondo di silenzio assoluto, sembrava che il tempo si fosse fermato, poi all’improvviso i due gruppi si abbandonarono a una fragorosa risata liberatoria.

Non pensiate però a un confronto tutto intellettuale tra la barbara civiltà nordico-celtica e quella più raffinata greco-romana. Tutt’altro: “Patroclo” era il nome urlato da Giorgio Bracardi durante una trasmissione radiofonica ascoltatissima dai giovani di quei tempi (di destra e di sinistra), condotta da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, “Alto gradimento”. Da quel giorno i giovani di destra non osannarono più il dio norreno, anche se continuarono gli scontri, purtroppo talvolta con armi da sparo, con i giovani di sinistra.

Storia e costumi cambiano, talvolta, anche così.

[In testa: Giorgio Almirante, allora segretario dell’Msi, capeggia una squadraccia di picchiatori fascisti all’Università di Roma nel 1966. Erano i giorni in cui fu ucciso lo studente socialista Paolo Rossi, buttato giù dalla scalinata della facoltà di Lettere. Il colpevole? Mai trovato, naturalmente…]

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27-12-2009 at 15:09

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Piazza Fontana, madre di tutte le stragi

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punto-interrogativo12 dicembre 1969, ore 16 e 37: una bomba esplode nella sede della Banca nazionale dell’Agricoltura, a piazza Fontana, cuore di Milano. Diciassette morti, decine di feriti. Una seconda bomba viene trovata inesplosa alla Commerciale, in piazza della Scala. Una terza bomba esplode meno di mezz’ora dopo a Roma, nel sottopassaggio della Banca nazionale del Lavoro, in via Veneto: tredici feriti. Nella capitale esplodono altre due bombe, tra le 17 e 20 e le 17 e 30, all’Altare della Patria e all’ingresso del Museo del Risorgimento: quattro feriti. Nel giro di cinquantatré minuti, dunque, cinque attentati terroristici.



Pochi giorni dopo l’anarchico Pino Pinelli (sospettato ingiustamente per piazza Fontana) muore precipitando da una finestra durante un interogatorio alla questura di Milano. Negli anni a venire, otto processi: prima contro gli anarchici – una montatura, subito sgonfiata, di polizia, carabinieri e servizi segreti – e poi finalmente contro i fascisti, ma tutti assolti, persino i neonazisti Freda e Ventura, la cui colpevolezza è stata “storicamente provata” (parole del giudice Salvini, che ha chiesto la riapertura dell’inchiesta) ma non ha potuto esserlo “giuridicamente”, perché i due sono già stati assolti in via definitiva quando le prove a loro carico erano ancora insufficienti.

Qualche condanna viene inflitta, ma soltanto per depistaggio, nei confronti di esponenti (piduisti) dei servizi segreti, e di loro confidenti e provocatori, in primis il fascista Guido Giannettini. Infine il segreto di stato e gli archivi mai aperti dei servizi segreti rendono ancora oggi inaccessibili molte e decisive informazioni su quella tragica giornata e su quanto accadde nei mesi e negli anni a seguire.

Oggi è necessario ricordare che il muro dei segreti resiste ancora, e non soltanto per la strage di Piazza Fontana. Quell’eccidio è stato infatti l’avvio di un ciclo terribile che per molti anni avrebbe insanguinato l’Italia e che, a parte qualche caso di identificazione e condanna dei responsabili materiali, non ha mai consentito di individuare i mandanti, i registi. Vogliamo ricordare le tappe di quel ciclo (intersecantesi, a un certo punto, con il corrispondente ciclo di terrore innescato dalle Brigate rosse)? Bomba sul treno Freccia del Sud, 22 luglio 1970 (6 morti); strage di Peteano, 31 maggio 1972 (3 carabinieri uccisi); attentato alla questura di Milano, 17 maggio 1973 (4 morti); attentato a piazza della Loggia, a Brescia, 28 maggio 1974 (8 morti); strage del treno Italicus, 4 agosto 1974 (12 morti); poi un lungo intervallo, segnato peraltro dalla strage di via Fani e dall’assassinio di Aldo Moro, per finire (?) con la strage della stazione di Bologna, 2 agosto 1980 (85 morti) e con quella del rapido 904, 23 dicembre 1984 (17 morti). Probabilmente (vado a memoria, ho cercato soltanto le date e il numero dei morti…) qualcuna m’è scappata.

Infine la stagione dello stragismo mafioso: dall’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte agli attentati di Firenze e Roma alle attualissime, sconvolgenti rivelazioni dei pentiti sui collegamenti tra mafia e politica.

Tanti processi, poche condanne, e quasi tutti i condannati ora non solo liberi ma protagonisti di show in televisione. Un comune elemento lega, infatti, queste tre stagioni: manca su tutto la completa verità, quella chiarezza giuridica (quella storica c’è, a non voler essere in malafede o del tutto idioti) che è ancora un debito enorme verso la coscienza civile del Paese. Verso le vittime, verso chi non dimentica, verso le giovani generazioni cui sono state negate e continuano ad esser negate prima la storia e poi la verità, tutta la verità.

Written by matemauro

12-12-2009 at 11:44

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Portella della Ginestra – 1° maggio 1947

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portella

‘Ntà lu chianu da Purtedda
chiusa a’nmenzu a ddù muntagli
cc’è na petra supra l’erba
pi ricordu a li compagni,
all’additta ni sta petra
a lu tempu di li fasci
un’apostulu parrava
di lu beni pi cu nasci
e di tannu finu a ora
a purtedda da Ginestra
quannu veni u primu maggio
i cumpagni fannu festa.
Giulianu lu sapia ch’era a festa di li poveri
Na jurmata tutta suli doppu tanta tempu a chiovirì
Cu ballava, cu cantava, cu accurdava li canzuni
E li tavuli cunzati di nuciddi e di turruni.

Ogni asta di bannera, era zappa vrazza e manu
E la terra siminata, pani cauddu, furnu e granu.

La speranza d’un dumani chi fa u munnu na famigghia
La vitevunu vicinu e cuntavunu li migghia,
l’uraturi di ddu jornu jera Japicu Schifò,
dissi: "Viva u primu maggiu!", e la lingua ci’assiccò.
Di lu munti la Pizzuta ch’era u puntu cchiù vicinu
Giulianu e la so banna scatinò a carneficina.

A tappitu e a vintagghiu, mitragghiavunu la genti
Comi fauci chi meti cu lu fòcu ‘ntrà li denti,
cc’è cu scappa spavintatu, cc’è cu cianci e grida aiutu,
cc’è cu jetta i vrazza all’aria a’ddifisa comu scudu,
e li matri cu lu ciatu, cu lu ciatu e senza ciatu
figghiu miu, corpu e vrazza comu ‘nghiommuru aggruppatu.

Doppu un quartu di ddu ‘nfernu, vita, morti e passioni,
i briganti si nni jeru senza cchiu munizioni,
arristam a menzu o sangu e ‘ntà l’erba di lu chianu,
vinti morti, puvireddi, chi vulianu un mundu umanu,
e ‘ntà l’erba li cianceru matri e patii agginucchiati,
cu li lacrimi li facci ci lavavunu a vasati.

Epifania Barbatu cu lu figghìu mortu ‘nterra dici:
a li poveri puru ccà ci fannu a guerra,
mentri Margherita la Glisceri ch’era ddà cu cincu fìgghi
arristò morta ammazzata e ‘ntò ventri avea u sestu figghiu.

Fu ddù jornu, fu a Purtedda,
cu cci va doppu tan’tanni,
viti morti ‘ncarni e ossa,
testa, facci, corpa e ghiammi.
Viva ancora, ancora vivi
E na vuci ‘ncelu e terra,
e na vuci ‘ncelu e terra:
o’ giustizia, quannu arrivi.

(Musica di Otello Profazio, parole di Ignazio Buttitta)

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30-04-2009 at 19:32

Li sette re dde Roma (7ª parte)

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mura serviane

Servio Tullio

Mo’, quarch’anno prima, era successo
che ne la corte se fusse ritrovato,
nessuno sa da dove, fijo de chi,
un regazzino assai ben’educato

che tutti quanti faceva diverti’.
De facile parola e ’ntrapendente
teneva banco fra la nobbirtà
co’ certi modi da ’ncantà la ggente

che puro er re riuscì de conquista’!
Tarquinio, da la moje conzijato
co’ ’n atto notarile l’ha adottato.
Mo’, pe’ da’ ’n nome decente a ’sto regazzo

bisognava sape’ da chi era nato
e a forza de domanne ner palazzo
ch’era fijo de ’na serva fu svelato.
Così, cacciato via ogni dubbio,

je misero pe’ nome Servio Tullio.
Co’ ’r re che je faceva da maestro
Servio tutti li trucchi imparò presto
sapeva vive bene fra la plebbe

e ar centro de la corte ’ndove crebbe
’mparò presto l’arte de fa’ er politico,
per cui fece cariera e diventò importante:
’ndove stava la greppia c’era lui!

Pe’ compretavve er quadro famijare
c’è da divve che doppo s’è sposato
co la fija de Tarquinio Prisco
e che ’nzieme a ’sto socero regale

faceva de la plebbe l’avvocato.
Co’ li patrizzi e co’ l’ambasciatori
annava a spasso da matina a sera,
faceva e riceveva li favori

s’entrufolava ’nzomma a  ’gni maniera
com’a tutt’oggi fanno l’assessori.
Li fiji d’Anco Marzio, furastici,
ner vede’ ’sto Tarquinio sempre a galla

s’ereno veramente ’n po’ scocciati
e studiaveno er modo de piantalla.
Er giorno che ammazzorno sor Tarquinio
se presentò ar senato Servio Tullio

co’ tante guardie tutte a lui d’intorno
pe’ riparallo in caso de bisogno.
Chi c’è mejo de lui pe’ tira’ avanti?
C’ha già le mano in pasta, conosce tutti quanti,

se mette la trabea appena arzato
e se presenta in mezzo ai senatori,
quelli minori fatti da Tarquinio
e in du’ battute la nomina vie’ fori.

Siccome che la gente borbottava
pe’ ’n ’artro Toscano che regnava,
pe’ fallo più importante de quant’era,
se disse ch’era fijo d’un dio potente,

precisamente fijo de Vurcano.
È la solita storia, ormai ce lo sapete,
quanno che li cittadini so’ arabbiati,
ce se mette de mezzo ’n poro dio

e tutti so’ contenti e cojonati!
Così ’sto Servio, appena fatto re,
co’ l’esperienza brutta ch’ha passato
de vede un re così mort’ammazzato,

usò de corza le du fije zitelle
come assicurazione su la propia pelle;
le maritò defatti, ’sto tapino,
co’ Lucio e Arrunte, fiji de Tarquinio.

Fece, ’sto Servio, ’n ber po’ de costruzzioni
tra ccui, si per caso nun ce lo sapete,
’na corona de mura a ’sta città
che da lui so’ chiamate, appunto, serviane.

Fece la guera co’ Vejo for de porta
e a ’na diecina e più d’artre città
perché era er mercato che j’emportava,
e Roma se doveva d’allarga’.

Pe’ politica interna in un momento
te fa na divisione in base ar cenzo,
’na cosa nova detta cenzimento
che poi c’avrebbe avuto ’n gran conzenzo;

e poi che è ’sto cenzo è presto detto,
si c’hai li sordi te chiameno “signore”
si invece nun c’hai ’na lira “poveretto”.
Però guardate la delicatezza:

quelli senza li sordi e tanta prole,
puro pe’ mettece subbito ’na pezza,
invece de chiamalli poveracci
je metteno pe’ nome prole…tari.

In seguito ’nventò le votazzioni
dividenno la gente pe’ centurie
de ricchi, ceto medio e d’accattoni.
Quanno che poi s’annava a fa’ lo spojo

veniva sempre a galla quell’imbrojo
per cui li ricchi co’ li senatori
ereno sempre loro li vincitori.
Poi fu er momento delle divisioni

de Roma e fece li rioni;
pe’ ogni rione c’era ’na tribbù
quelle de centro ereno dette urbane
e quelle for de porta rusticane.

A Diana fece ’n tempio all’Aventino;
popolo Etrusco e popolo Sabbino
er tredici d’agosto, tutti l’anni,
scordannose le tasse e li malanni

viaggiaveno contenti fin’a là
p’avecce er gusto de sacrifica’.
C’aveva Servio Tullio du’ belle fije
j’aveva messo nome, penza ’n po’, Tullia;

no, nun me sbajo, lo stesso nome…
ma pe’ distinguele c’era ’n zistema:
una era Maggiore, l’artra Minore!
Penzanno de rinforza’ ’a su’ proggenie,

fece ’sta penzata che mo’ vve dico:
c’era un fijo de Tarquinio Prisco,
Tarquinio puro lui (e daje co’ ’sta fantasia!)
ch’a quarant’anni senza moje se trovava,

je disse Servio Tullio, allora:
“Io ’na moje te l’averei puro trovata,
che dichi de sposatte ’sta mi’ fija?”
(penzanno certamente a la Maggiore);

Tarquinio nun ce stette a penza’ tanto,
e er matrimonio venne combinato.
Doppo quarche anno però, Tarquinio,
vedenno che de prole nun ze ne parlava,

je diede ’n carcio ’n culo a la Maggiore
e come sposa se prese la Minore.
Mo’, si ttenete conto che Tarquinio
c’aveva er dente assai avvelenato

co’ chi er padre j’aveva trucidato,
ve vie’ dde certo ’n mente che volesse
de Servio co’ le su’ mano vendicasse.
Servio regnava da quarant’anni e passa

finché la fija e er genero, meschini,
trovorno er coraggio pe’ fallo fori.

Note:

domanne domande
pe’ compretavve per completarvi
c’è da divve vi devo dire
’nzieme a ’sto socero insieme a questo suocero
ner vede’ nel vedere
furastici furiosi
ammazzorno ammazzarono
pe’ riparallo per difenderlo
de vede di vedere
de corza di corsa
’na corona de mura le mura serviane, in alcuni punti ancora visibili, soprattutto nei dintorni della stazione Termini,  furono la prima cinta difensiva di Roma, costruite su un perimetro che toccava le principali alture della città: Palatino, Campidoglio, Viminale, Oppio, Celio e Qurinale
conzenzo consenso
pe’ mettece ’na pezza per riparare un torto
spojo spoglio, scrutinio
scordannose dimenticandosi
zistema sistema
penzanno de rinforza’ ’a su’ proggenie volendo rafforzare la sua discendenza
te l’averei te l’avrei
che dichi de sposatte che ne pensi di sposarti
vedenno che de prole nun ze ne parlava vedendo che non si parlava di prole, cioè che i figli non arrivavano
je diede ’n carcio ’n culo le diede un calcio in culo, vale a dire che la ripudiò
co’ chi er padre j’aveva trucidato ricorderete che Servio Tullio aveva ucciso Tarquinio Prisco, padre di quest’altro Tarquinio
ve vie’ vi viene
co’ le su’ mano con le sue mani
pe’ fallo fori per farlo fuori

Written by matemauro

26-02-2009 at 17:57

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Li sette re de Roma – (5ª parte)

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cloaca_massima

Tarquinio Prisco

Allora, ve dicevo de l’Etruschi:
’nzieme co’ li primi, scese Lucumone
sposato co’ ’na certa Tanaquilla;
lui trafficava come ’n lumacone,

lei pareva ’na donna assai tranquilla.
Presentannose ar popolo romano
fece de tutto pe’ cambiasse nome:
je ce voleva ’n nome più romano

e ’nvece de l’etrusco Lucumone
Lucio Tarquinio Prisco fu chiamato.
Omo brillante, parlantina sciorta,
s’enfila nella mejo società

e co’ costanza, salenno ’n po’ pe’ vorta
ariva propio ’ndove vo’ ariva’.
Co ’n soriso, ’n favore, ’sto brav’omo
riuscì d’avvicinasse tanto a ’r trono

e ’ntanto j’aumentaveno le voje.
Forze perché sapeva di’ le barzellette
o forze pe’ la moje ch’era bbona
fatto sta ch’Anco Marzio lo volette

fa’ famoso de fora e drento Roma,
omo de gran fiducia e conzijere
e, arfine, quanno fece testamento,
fece st’omo tutore de l’eredi a ’r trono.

Pijanno la palla ar barzo all’occasione,
senza né stampa né televisione,
Tarquinio e Tanaquilla fanno
’na propaganda elettorale

co’ metodi moderni, senza uguale.
Casa pe’ casa, pe’ le vie, le chiese,
co’ ’n soriso pe’ tutti e co’ tutti cortese
da la Subura fin’ar Palatino

er lavoro fu fatto così fino
che, brucianno er paione, lui fu re.
Mo’, co’ la testa appena incoronata,
Tarquinio Prisco, mai sazzio d’allori

subbito organizzò ’na gran drittata
nominanno cento novi senatori;
ggente fidata, ggente de cervello,
legati tutti da quarche macchiavello.

Siccome Roma è ancora ’n po’ ’ndecente
è zozza, nun c’ha manco ’na fogna,
inzomma ogni strada è assai fetente,
stufo de tutta ’sta puzza sott’a ’r naso

fa veni’ giù a valanga dall’Etruria
d’architetti e d’ingegneri ’na centuria,
muratori, stagnari e carpentieri
e falegnami, scurtori e carettieri;

via le capanne fatte co’ la paja
s’addopreno li marmi e li mattoni
pe’ fa’ le case pe’ poveri e signori.
E nun se so’ fermati co’ le case:

fecero strade lastricate e dritte,
le terme fatte solo pe’ lavasse,
li stadi pe giocacce le partite,
li fori, che sarebbero le piazze

’ndove che se riuniveno a discute
gioveni e vecchi de tutte le razze
de guere e de battaje, de donne e de granaje,
de perzone per bene e de canaje.

Fecero quarche tempio a quarche dio
(tanto de ddii ce n’ereno ’n fottìo)
co’ statue tanto belle e naturali
ch’a ’r monno certo nun ce so’ l’eguali.

Ma l’opera più utile e possente
è la cloaca massima, che scarica ner fiume
tutto quanto de brutto potete ’mmaggina’,
che libbera le strade da li sorci e da le zozzerie

prosciuganno pozzanghere e marane;
pe’ le strade nun trovi manco ’n’acca,
ché l’hanno libberate dalla cacca.
’Sto manufatto iggenico e importante

è ancora utilizzato e funzionante!
Fatte ’n ber po’ de ’st’opere edilizzie
bisogna provvede’ pe’ mantenelle:
serveno li scopini e le milizzie,

su le mura ce vonno sentinelle,
pompieri, muratori e manovali,
stagnari, guardie civiche e ’mbianchini
e poi portieri, grici e macellari,

pecioni, sarti e puro li norcini,
e pe’ trova’ ’sta massa lavorante
ce vo’ ’na guera ne le vicinanze,
pe’ sottomette a Roma ’n po’ de ggente

che possa lavora’ senza lagnanze
(ch’a Roma ormai ognuno è ’n po’ statale
e qualunque lavoro, si lo fa, je fa male)…
Così Tarquinio fece due o tre guere

contro li Sabbini e contro li Latini,
volenno conquistasse ’n po’ de tere
naturarmente a spese de li vicini.
Così la mano d’opera richiesta

senza concorzi e riccommannazzioni
la trovorno e fu ’na cosa lesta
sopraffacenno ’ste popolazzioni.
’Sto re mezzo toscano veramente

stava sur gargarozzo a tanta ggente;
fecero allora ’na bella congiura
co’ la ggente più dura e più sicura.
Deciso er piano ne li particolari

p’ammazzà er re, pijeno du’ pecorari,
li pagheno, je spiegheno er da fa’
e quelli appena pronti ponno anna’.
In mezzo ar foro fanno gran canizza,

se chiede l’intervento dei littori,
detto fatto ’n processo s’organizza
e Tarquinio è costretto a veni’ fori.
Se mette a sede e dice: “Che vve rode?”

”Noi chiedemo giustizia, maestà!”
”E allora forza, dite che c’avete,
così poi la piantate a scanizza’!”
Un pecoraro allora se fa avanti

dicenno che quell’artro je fa torto
e, mentre che Tarquinio ascorta assorto,
l’artro, veloce come ’na saetta,
j’ammolla ’na gran botta co’ ’n’accetta.

Note:

’ndove vo’ ariva’ dove vuole arrivare
j’aumentaveno le voje crescevano i suoi desideri
conzijere consigliere
Subura la Suburra era un vasto e popoloso quartiere dell’antica Roma, situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino alle propaggini dell’Esquilino; nel corso dei tempi ha subito diverse devastazioni, ultima quella degli anni venti del secolo scorso, quando Mussolini fece costruire la via dell’Impero (l’attuale via dei Fori imperiali)
brucianno er pajone bruciando la paglia; l’usanza di bruciare la paglia asciutta o bagnata (che produce rispettivamente fumo bianco o nero) non è certo, come tante altre usanze, un’invenzione dei papi…
stagnari idraulici
canaje canaglie
de ddii ce n’ereno ’n fottìo di dèi ce n’erano a bizzeffe
marane marrane; a Roma sono  i fossi e i piccoli corsi d’acqua che attraversano il territorio urbano; il termine sembra derivi da Ager maranus, zona nei pressi della via Appia dove scorreva (e in parte scorre tuttora) il fosso dell’Acqua Mariana; per estensione, la parola passò poi a indicare tutti i fossi romani
grici panettieri; questa è una “licenza poetica”, dato che così venivano chiamati i panettieri alla fine del medioevo: sembra perché provenissero dal cantone svizzero dei Grigioni
pecioni coloro che riparavano le pentole e le botti usando, appunto, la pece: siccome il risultato era visibilissimo, anche oggi si usa nel senso di chi aggiusta alla buona, senza molta cura
norcini sono coloro che macellano i maiali e preparano e vendono i derivati della carne suina; sono detti così perché venivano per lo più da Norcia; la professione era comunque nota anche nell’antichità, e i più bravi norcini erano ricercatissimi
riccommannazzioni raccomandazioni
stava sur gargarozzo oggi si direbbe meglio “stava sulle palle”… il gargarozzo è la gola
pijeno du’ pecorari prendono due pecorai
ponno anna’ possono andare
canizza strepito, cagnara
littori erano una speciale classe di servitori civili, che avevano il compito di proteggere i magistrati
a veni’ fori a uscire fuori
scanizza’ fare, appunto, canizza

Written by matemauro

16-02-2009 at 22:14

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Li sette re dde Roma (5ª parte)

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Anco Marzio

Doppo de Tullo Ostilio, er re gueriero,
s’avanza mo’ ’n mezzo fraticello
che porta ’n nome che pare battajero:
Anco Marzio se chiama, ma porello,

lui de marziale nun c’ha propio gnente.
Mo’ pe’ ’gni santo c’è na processione
Roma odora d’incenzo a tutte l’ore
e ’r popolo romano è in orazzione

che ppare la festa der Divin’Amore.
Roma fa gola e a tutti ’sti stranieri
che in quarche modo vorebbero da entra’
è necessario daje ’na lezzione

così poi sanno ’ndo deveno d’anna’!
Ce sò li Tibburtini, li Falisci e li Latini
li Sanniti, li Piceni e li Marrucini
e dalla Cispadania scenneno giù li Liguri,

li Veneti, l’Insubri e l’Umbri che a palla
vonno zompa’ su Roma pe’ sbranalla.
Come si fusse poco, là ’n mezzo a lo stivale,
ce so’ l’Etruschi da dove’ para’

e so’ dolori, questi fanno male
perché la guera la sanno propio fa’.
L’Etruschi so’ artiggiani e gran guerieri
so’ marinari, artisti e commercianti;

hai da penza’ che nun zo’ nati ieri,
che fanno mette a sede tutti quanti.
Co’ quarche scaramuccia come assaggio
doppo d’avecce puro ’n po’ abbuscato,

prima che tutto annasse a fini’ peggio
Anco je disse: “Bboni, amo scherzato,
mettemese d’accordo; qui conviene,
pe’ vive ’n pace e co’ tranquillità,

d’uni’ le forze vostre e nostre inzieme
formanno ’na sola, unita, società.”
Così l’Etruschi scesero giù a Roma,
misero su commerci, portorno li ddei loro,

inzegnorno ai Romani a fa’ er sordato.
Fecero porti, negozzi e magazzini,
osterie, poi le terme e ppoi er teatro,
pe’ diverti’ li granni e li regazzini,

e un novo centro urbano fu creato.
Successe ch’a quer tempo li Romani,
a contatto de l’urtimi arivati,
se scoprirono d’esse marinari

e a cerca’ er mare subbito so’ annati.
In cinque o sei partirono spediti,
quattro Romani, un Veneto e un Sabbello
e s’aggregorno puro dù Sanniti.

Cerca e ricerca, ecchete sur più bello
er Veneto strilla’: “Ostia, dame quel remo!”;
stava co li piedi ammollo drento l’acqua
e zompava tanto che pareva scemo.

Sentenno che strillava a ’sta maniera,
quell’artri “Ostia, Ostia!” se misero a strilla’
credenno in bona fede che quello era
er nome dato a la località.

Siccome poi che l’acqua era salata
je se risorze pure quer probblema
der sale pe’ condisse l’inzalata
che mo’ nun ze doveva più importa’.

Doppo ventiquattr’anni che regnava
er re Anco Marzio, stufo de campa’,
stirò le zampe ner mentre che magnava
e lungo la via Appia se fece sottera’.

Note:

la festa der Divin’Amore una delle feste più tradizionali di Roma
così poi sanno ’ndo deveno d’anna’ così poi sanno dove andare (sottinteso: affa…)
zompa’ saltare
hai da penza’ che nun zo’ devi pensare che non sono
doppo d’avecce puro ’n po’ abbuscato dopo avercele un po’ prese
amo scherzato abbiamo scherzato
portorno, inzegnorno, s’aggregorno portarono, insegnarono, si aggregarono
ecchete eccoti
je se risorze trovarono la soluzione

Written by matemauro

13-02-2009 at 22:35

Pubblicato su poesia, roma, storia