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Di matematica ma non soltanto…

Archive for dicembre 2008

Un alibi… di noce!

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cuore1

Il commissario Valcorvina era fissato che a uccidere lo strozzino Mimmo Caccavale fosse stato Pino Galluzzo. Ma quest’ultimo aveva un alibi di ferro, uno di quelli che nessun investigatore, manco Sherlock Holmes, può mai distruggere, manco con le cannonate.

”Movente, occasione, arma… tutto c’era, tutto!” continuava a ripetere al mondo intero Valcorvina.

In effetti, tra Caccavale e Galluzzo, o, meglio, tra Mimmo e Pino, c’erano state camurrìe che risalivano a quando erano ambedue picciotti. Mimmo aveva soffiato la ragazza a Pino, l’aveva "compromessa" e non se l’era manco sposata. E Pino passava per il paese come il cornuto di turno, mentre Mimmo continuava a sfotterlo con gli amici.

Ma questo fatto, in fin dei conti, era niente, ragazzate; i rancori grossi vennero fuori negli anni successivi. Diventati grandi, Pino aprì un negozio di calzature e Mimmo entrò, a sua volta, in affari, ma come prestasoldi a usura. Come succede a molti commercianti, improvvisamente Pino si trovò in ristrettezze e dovette ricorrere, per sua disgrazia, a un prestasoldi. Non certo a Mimmo, con il quale, com’è ovvio, neppure si salutava, ma a Pippo Ingroia, che era uno strozzino sì, ma di una categoria assai particolare. Figuratevi che chiedeva interessi di poco superiori a quelli delle banche, non pretendeva garanzie e, soprattutto, non ne sollecitava la restituzione, anzi concedeva ampio respiro al debitore. Veniva da famiglia agiata e, come diceva lui stesso, lo faceva quasi per hobby.

I picciuli nu’ m’interessunu. Mi piaci iutari i cristiani… sosteneva, sinceramente compiaciuto.

Ingroia prestò a Pino dapprima cinquemila euro e poi altri cinquemila, facendosi firmare delle cambiali che rimasero nel cassetto del trumò per anni. Poi, un giorno, dopo che la notte gli era venuto in sogno san Francesco d’Assisi, Pippo fu preso da un’improvvisa crisi mistica, che lo fece ritirare in convento per il resto dei suoi anni. Prima di abbandonare il mondo secolare, però, provvedette a cedere la sua avviata attività. Vendette, o, per meglio dire, svendette, le cambiali di cui era in possesso e regalò il ricavato ai poveri.

Tra coloro che acquistarono gli effetti c’era anche (figuratevi un po’…) Mimmo Caccavale. A questi non parve vero di trovarsi tra le mani i "pagherò" scaduti di Pino Galluzzo! Gli richiese subito la restituzione del prestito. Pino non aveva il denaro e firmò altre cambiali e poi altre ancora, con interessi esosi, fino ad arrivare a cifre insostenibili. Per liberarsi del debito e della presenza di Mimmo, che gli stava appiccicato come un segugio alla lepre, Pino fu costretto a vendere il negozio, riducendosi (a cinquant’anni suonati) a svolgere lavoretti saltuari e a vivere sulle spalle dei tre figli.

Ma la storia non è finita qui, non ancora. Si sa che le vicende di Capuleti e Montecchi avvengono anche nella vita reale, oltre che nelle commedie del sommo bardo di Stratford; e non solo a Verona, ma anche in quella profonda Sicilia dove si muovevano i protagonisti della nostra storia.

Salvo, il figlio minore di Pino, conobbe Caterina, la figlia di Mimmo: i giovani s’innamorarono e si fidanzarono di nascosto del padre di lei. Ma un certo giorno Mimmo ne venne a conoscenza… Scatenò un’iradiddio.

– Non farìa mai maritari a me figghia cu ‘nu muttazzu ‘i fami, figghiu du ‘nu muttazzu ‘i fami! – Sbraitò, e lo sbraitò in pubblico. – Chiuttosto, monica ‘a fazzu fari, oppuru ‘nto collegiu ‘nta Svizzira ‘a mannu! – Soggiunse, imbestialito.

Al vostro umile scrivano, come a tutti i paesani, è ignoto cosa accadde alla figlia. Certo è che Caterina fu allontanata dal paese e non se ne seppe più nulla. Il risultato? Salvo cadde in una profonda depressione, non sapeva più dove sbattere la testa. Tentò tre volte il suicidio e, al terzo tentativo, meschineddu, ci riuscì. E pensate che Mimmo ebbe addirittura la faccia tosta di andare al funerale… Lì Pino perse definitivamente la trebisonda. Lo scacciò via, rincorrendolo per i viali del cimitero e urlandogli dietro:

– Assassinu, tu mu ‘mmazzasti! – Aggiungendo poi: – Cacchi ghionnu ti scippu ‘u cori e a spizzateddu mu manciu!

– Se non è minaccia questa! – Affermò enfaticamente il commissario Valcorvina, a colloquio con il magistrato istruttore, dottor Tiziano Alberghetti.

– Ma dài, Luca, è solo un modo di dire – minimizzò Alberghetti, che pure se era nato e cresciuto a Parma, qualcosa dei modi di dire isolani l’aveva appresa.

– Si vede che non hai letto attentamente il risultato dell’autopsia – ribatté il commissario.

Per compiacerlo, Alberghetti lo prese in mano e lesse:

– Ecco qua: "Sul cadavere si riscontra, sul lato sinistro dello sterno, un vasto squarcio, con margini irregolari e frastagliati, presumibilmente utilizzato dall’assassino o da altri per prelevare l’organo cardiaco, non presente in loco; detto organo non è stato reperito…"

E Valcorvina:

– Non è stato reperito perché l’assassino se l’è portato via.

– Sì. Per farselo a spizzateddu… – ironizzò il magistrato. – Questa strada non porta da nessuna parte, caro Luca. Con il suo mestiere, Caccavale s’era fatto talmente tanti nemici che, senza esagerare, mezza Sicilia lo voleva morto. E poi, dài! La tua tesi non sta in piedi…

– Ci sono i testimoni. Quattro. – Insistette Valcorvina, testardo come tutti i montanari. Sfogliò i suoi appunti e cominciò a leggere:

– I quattro testimoni abitano nella stessa palazzina dove viveva Caccavale e sono stati tutti concordi nel rilasciare dichiarazioni simili. Te ne leggo una, tanto le altre sono copia carbone. Senti: "Rincasammo verso le dieci di sera dopo la solita partita a carte al bar all’angolo. Incontrammo sull’uscio il signor Caccavale Domenico, detto Mimmo, che cercava le chiavi per aprire. Io le tenevo già in mano e mi feci avanti. All’improvviso sopraggiunse un uomo che si parò dinnanzi al Caccavale gridandogli ‘Mi manna me figghiu!’, colpendolo ripetutamente e con violenza al centro del petto. Il Caccavale gettò un grido e cadde per terra: gli usciva sangue a fiotti da una grossa ferita al torace. Mentre noi ci chinavamo per dargli soccorso, l’uomo sparì. Non vedemmo la direzione che prese, perché indaffarati con il ferito, ma lo riconoscemmo, in quanto persona a noi nota. L’uomo era Galluzzo Giuseppe detto Pino." Non ti sembra che basti?

– I tuoi testimoni non sono attendibili – ribatté Alberghetti.

– Quattro testimoni, quattro!, non sarebbero attendibili?

– Non sarebbe il primo caso, dài, lo sai bene anche tu. Esiste tutta un’ampia letteratura sulle testimonianze, non dico false, ma quantomeno indotte da suggestioni… – cercò di spiegare il magistrato, il quale cominciava a perdere la pazienza. Conosceva da anni il commissario Valcorvina e lo stimava professionalmente. Non voleva contrariarlo, ma quella discussione gli sembrava assurda, e perciò tentò di troncarla.

– Lo capisci che quei quattro non possono avere visto a Galluzzo? Quello ha un alibi di ferro!

Definirlo di ferro era eufemistico. Nel momento in cui era avvenuto il delitto, Pino Galluzzo era morto. Già: sistemato nella cassa, con tanto di fiori e ceri intorno. Si sentì male subito dopo cena: un forte dolore al petto con sudorazione intensa. La moglie chiamò un’ambulanza che lo trasportò in ospedale. Lì, però, non ci furono santi, né interventi medici che gli potessero salvare la vita.

– L’abbiamo perduto – disse istrionescamente il dottore del pronto soccorso, che s’atteggiava un po’ come uno di ER Medici in prima linea, dopo avere provato il massaggio cardiaco e la stimolazione elettrica.

Dopodiché Pino Galluzzo venne trasferito nella camera mortuaria dell’ospedale e lì messo dentro una bella bara di noce intarsiato.

Questo io lo so bene, perché la moglie di Pino Galluzzo si rivolse alla mia agenzia di onoranze funebri. Pratichiamo prezzi ragionevoli, con dilazione nei pagamenti e, se avete bisogno di noi, ci trovate sulle pagine gialle, alla voce Onoranze funebri.

Perciò, altro che alibi di ferro!

– Allora, non hai intenzione di procedere? – domandò Valcorvina.

– Contro chi? Contro un cadavere? – Scherzò Alberghetti. – Vogliamo farci ridere dietro da tutta la nazione?

– Pe’ carità, Tizia’! E se volevo far ridere, facevo l’attore comico, invece del poliziotto – cedette Valcorvina. – Io però il caso lo tengo aperto – concluse, mestamente ma orgogliosamente.

E dunque il caso rimase aperto e insoluto, anche se il commissario Valcorvina restò sempre dell’opinione che a uccidere Caccavale Domenico fosse stato il defunto Galluzzo Giuseppe.

Io, per parte mia, non posso dargli torto, ma manco ragione. So soltanto che, quando tornai nella camera mortuaria dell’ospedale per chiudere la cassa, notai che il catafero aveva sul volto uno strano sorriso di soddisfazione e le sue labbra sembravano sporche di un liquido rossastro. Mi meravigliai, inoltre, perché aveva le mani unite e poggiate sopra l’addome, mentre io stesso gliel’avevo sistemate belle incrociate sul petto, com’è usanza. Cercai di spostarle, ma senza riuscirci, perché già era sopravvenuto il rigor mortis. Ma non potei fare a meno di notare tra le sue mani un pezzo di carne sanguinolenta. Non m’intendo molto di anatomia, ma certi organi, date retta a me, che un pochino me n’intendo, si riconoscono… quello giurerei proprio che si trattava di un pezzo di cuore umano.

Il commissario Valcorvina non ne sa nulla, e io mi guardai bene dal presentarmi come testimone: perché certe cose è meglio non vederle e non saperle. E se ciò che ho scritto equivale a sapere… iò nenti scrissi!

Written by matemauro

30-12-2008 at 13:32

Pubblicato su racconti

2009 Auguri 2009

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E anche stavolta siamo arrivati agli auguri per l’anno nuovo… Come l’anno scorso, auguri personalizzati per (quasi) tutti i miei amici…
Buon 2009


Così semo arivati
a ‘n’artro capodanno
magara ‘n po’ sudati
ma senza troppo affanno.

Du’ verzi butto giù
pe’ augura’ a l’amichi
che ‘st’anno sia ‘n bijoux,
co’ fichi e pappafichi.

Comincio co’ Targhina,
amica assai bellina,
biondina teatrante:
sii sempre più elegante!

A Flavio, gran curtore
de foto spiritose
auguro a tutte l’ore
de nun sbajasse dose!

C’è poi ‘na poetessa
de nome fa Tamango
gattara indefessa
e ama puro er tango!

Tecnico sopraffino
li segue Archimede:
de ‘n razzo mattutino
la rotta lui prevede!

A Sabina, amica certa,
je faccio ‘na profferta:
de comincia’ a scrive
racconti "detective"!

Je tocca mo’ a Enzo,
ozzene scrive lui,
insieme a lui m’addenzo
sulle porpette artrui!

E Mara la scrittrice?
Lei sì che ce lo dice
che ama le porpette,
ar cinque e ar ventisette!

È er turno mo’ de Czedyo,
che nicche assai strano…
a lei un mormorìo…
tutto in italiano!

Chi vedo mo’ ch’ariva?
Manuele, er liceale;
scrittore lui è in erba,
ma vale, aoh!, se vale!

La profe Annarita
è quasi la più recente:
cor gesso e la matita,
scienziata eccellente!

A Passatorcortese
romana come pochi,
dei gatti le difese
che ogni giorno invochi!

De sangue romagnolo
è Phederpher tennista:
davero un granne artista
de coccia e de nocciolo!

Airone, cara amica,
cor principe consorte,
che un dio ve benedica
pe’ mijora’ la sorte!

C’ha nome assai olente
de pesco o de rosa,
de nome è Fiorirosa,
de mente intelligente!

E poi Gattarandagia,
‘na penna assai marvagia,
ma animo sorridente
coi gatti assai paziente!

Teresa torinese,
un’animo gentile,
sa fa’ la maionese
e scrive signorile!

S’avanza mo’ Alice,
n’artra che fa’ l’attrice,
e recita pure bbene
lì, su l’antiche scene!

Ma ‘n augurio speciale
va a la Principessa:
un "Vale!" assai cordiale,
nun esse mai depressa!

A Titti, mi’ cuggina:
te prego, sii presente,
lo vedi quanta ggente
te scrive e te sviolina?

C’è Luca, toscanaccio,
che scrive propio bbene,
sembra un regazzaccio,
ma amore j’appartiene!

Mietta, seconna scola
dice ner blogghe loro,
è donna de parola
sopraffina e d’oro!

Esserinoebalena
ponno rubba’ la scena:
so’ gatti assai umani,
artro che ciarlatani!

A Elenamaria
vorei di’ tante cose,
de vive in armonia
e co’ idee ariose!

Francesco, milanese,
du’ occhi da cinese:
je manno (globalmente)
n’abbraccio dirompente!

A Sonofuorimoda
l’augurio che se goda
l’amata mia Sardegna,
reggione assai degna!

Redcats, cor gatto rosso,
matita brava assai,
abbasta che nun abbaj
a Rasputin ‘n cane grosso!

Carlo, acido nitrico,
è puro matematico,
perciò annamo d’accordo
e a gratis lo ricordo!

Ofvalley da Dogliani
è amico assai recente:
fa’ collage ‘n po’ strani,
‘na penna irriverente!

A Bruno angolobà
(da legge a la rovescia):
‘n augurio senza prescia,
de vedesse… chissà!

È piena d’ironia,
Iosempreio è er nome:
mo’ chi je spiega er come
se legge ‘na poesia?

Cara Biancapazienza
che te ne sei ita via:
tu con la tua coscienza
smàscheri ogni bucìa!

Mirco è umorista granne,
insieme co’ Pivvù
si Dario poi s’espanne
nun s’addormimo più!

E poi Chicca e Anna
e Bandolin e Maria,
Corado e Gianni, Sparta,
Tumbergia e Terminator,

Ceglieterrestre e Milva,
Adele, Lucia e Leo,
Charlie e Sistercesy,
Elisa e Chichita,

Giolisso e Giovanotta,
e Girasole e Giulia,
Martina e Mirella,
Masuria e pure Trisha,

Ortensia, Pablo e Penny,
e Scaramouche e Vany
e Smarty il professore,
Perla, Sasà e Shanty

Parecchi l’ho nomati
e tanti ancora no
ma quelli tralasciati…
nun disperate, no!

Lo sanno pure loro,
je vojo un bene d’oro;
ma pe’ fa’ a tutti ‘a rima
dovevo parti’ prima!

Certo de nun fa’ danno,
sicuro che nun piove,
ve lasso auguranno
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Written by matemauro

27-12-2008 at 22:11

Pubblicato su auguri

Eartha Kitt

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I Want to Be Evil

C’est si bon

Santa Baby

Eartha Kitt, pseudonimo di Eartha Mae Keith (North, 17 gennaio 1927 – New York, 25 dicembre 2008) è stata una cantante, attrice e attivista sociale statunitense.

Nacque in una piantagione di cotone nella Carolina del sud; la madre aveva ascendenze Cherokee e afro-americane, il padre era forse il figlio del proprietario (tedesco-olandese) della fattoria in cui nacque; lei sostenne sempre di essere nata in conseguenza di uno stupro. A pochi anni di vita venne mandata a New York presso una zia, che lei considerò per molto tempo la sua vera madre.

Agli inizi degi anni cinquanta divenne famosa per molti brani musicali, cantati sia in inglese che in francese, lingua che imparò alla perfezione durante un soggiorno in Europa (mi pare che sia da apprezzare particolarmente la sua interpretazione di C’est si bon).

Dopo una breve apparizione cinematografica in Casbah, Orson Welles la volle per la parte (muta) di Elena di Troia nella sua rappresentazione teatrale di La tragica storia del Dottor Faust, di Chistopher Marlowe. Di lei, il regista ebbe a dire che era la donna più eccitante del mondo.

Negli anni sessanta divenne famosa anche per il pubblico televisivo, interpretando la parte di Catwoman in una delle serie di Batman. Nel 1968 la sua carriera ebbe un brusco arresto in patria, a causa della sua feroce opposizione alla guerra in Vietnam, e decise di continuare la carriera in Australia ed Europa, dove collaborò anche coi Monty Pithon.

Negli ultimi anni si è dedicata a interpretazioni jazz e cabarettistiche. Per uno scherzo del destino, se n’è andata nel giorno cui aveva dedicato una delle sue canzoni più famose, Santa Baby.

Sarà per il fatto che era una "sangue misto", e di che mistura!, ma guardando e ascoltando (con quella "r" pronunciatissima, tutta sua particolare…) i brani sopra riportati, non si può certo dare torto a Orson Welles…

Written by matemauro

26-12-2008 at 21:05

Pubblicato su eartha kitt, musica

Il poliziotto

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polizia

Sono alla finestra, immobile. Schiacciato sul davanzale, in posizione di tiro. Se pensano di fregarmi si sbagliano e di grosso.

– Centrale mi ricevete? Passo…

Soltanto sibili, nient’altro. La radio proprio non va. Porc…

Devo stare calmo. Stare calmo e respirare. Ecco così, respiri profondi, così… Tranquillo. Sono qui da cinque minuti e mi sembra un’eternità. Appena escono intimo l’alt. Poi sparo alle gambe. Solo se non si fermano, certo.

Non posso fare diversamente: loro sono quattro e io da solo. Sono entrato in polizia per combattere il crimine. Ma per mantenere l’ordine tocca fare anche cose spiacevoli. Cose che vanno fatte, se vuoi essere rispettato. I delinquenti sono stronzi. Tu devi esserlo come e più di loro.

Non nego che sparare a quei fottuti bastardi mi procurerà anche un certo piacere, ma sparerò soltanto se sarò costretto. Chiaro. Se non rispetti le regole devi essere punito. La legge è legge. Non possiamo farla rispettare con le pacche sulle spalle. Bisogna essere dei duri. Diventare un po’ cattivi.

Ma cosa fanno?

L’occhio sinistro è chiuso, il destro allineato con il mirino. Oggi è la loro giornata sfortunata. Ho una mira eccellente, io. Sono il migliore del corso. Non posso sbagliare.

È anche merito delle giornate passate alla playstation. Sembra ieri, invece è passata una mezza vita. Mio padre che mi sgridava sempre. Quella volta che mi aveva picchiato con la cintura dei pantaloni. Ma era più forte di me. Ero affascinato dai giochi dove potevo sparare, impugnare la pistola, il fucile, il mitra. Prendere la mira e sparare. Fare fuori i cattivi: mostri, zombie, vampiri, delinquenti. Tutti li facevo fuori, uno dopo l’altro. Ero il migliore della mia classe, vincevo tutte le sfide. Cominciavo dopo pranzo, mi chiudevo in camera e smettevo che fuori era buio. Ma solo perché papà o mamma venivano a tirarmi per le orecchie.

È stata una cosa naturale sognare di diventare un poliziotto. E ce l’ho fatta. Sono così orgoglioso della mia divisa, del mio distintivo, di questa splendida pistola. La mia Beretta automatica. Metallo freddo e vivo, leggera e precisa. Un vero gioiello, con questa non posso sbagliare un colpo. È la prima volta che miro a persone in carne e ossa. Ho sempre sparato davanti a un monitor o alle sagome. Ma c’è sempre una prima volta.

Oggi non ero al lavoro. Ma in fondo un poliziotto è sempre in servizio. Ero entrato nel bar all’angolo. Ho sentito un pezzo di conversazione, appena alcune parole, ma sufficienti. Una telefonata da un cellulare. Un tipo losco, vicino a me, parlava di una rapina all’ufficio postale qui di fronte. Abbastanza per intuire tutto. È il mio lavoro, sono addestrato per questo. Sarebbero stati almeno in quattro. Sono andato all’auto, ho preso pistola e radio, mi sono seduto con un giornale sulla panchina dei giardinetti e ho provato a chiamare la centrale. Radio fuori uso! Non ho avuto il tempo di cercare un telefono che li ho visti. Due davanti, con un impermeabile beige lungo, ed altri due più indietro. Classici soprabiti larghi per nascondere meglio le armi.

Da come si sono mossi nervosamente, guardandosi intorno, ho capito subito che erano loro. Ho suonato al citofono dello stabile di fronte, mi sono qualificato e sono entrato in un’abitazione al primo piano. E ora sono qui alla finestra. Pistola in pugno, braccia quasi tese, concentrato. Concentratissimo. Da questa posizione non mi possono sfuggire.

Eccoli!

Grido con tutto il fiato che ho in gola:

– Fermi tutti. Polizia. Mani in alto!

Scappano.

Sparo. Due, tre, sei colpi.

A ogni sparo sento un tonfo fortissimo, un rumore secco, una martellata, cui non sono abituato. Il botto di ogni colpo quasi mi spaventa. Le braccia mi tremano. Tremo tutto, per la verità.

Vedo due di loro cadere in terra, poi anche il terzo, un altro scappa.

Non perdo un istante: salto dalla finestra per inseguirlo, sono solo tre metri.

– Mamma non mi va più!

– Mamma, voglio la cocacola!

– Prima finite di mangiare tutto!

– E zitti un attimo, fatemi sentire il telegiornale!

– Tragico pomeriggio in un piccolo centro del comasco. Due anziani che avevano appena ritirato la pensione sono rimasti uccisi da alcuni colpi di arma da fuoco. Altre due persone sono rimaste ferite in modo non grave. A sparare, dalla finestra della sua stanza al terzo piano, un bambino di undici anni. Si era impossessato della pistola del padre, una guardia giurata che stava riposando, e ha sparato sulla folla. Il piccolo è poi caduto nel vuoto sporgendosi dalla finestra. Inutile la corsa e il ricovero in ospedale.

Written by matemauro

25-12-2008 at 22:00

Pubblicato su racconti

Babbo Natale dallo psicanalista

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Proseguo nell’opera di dissacrazione del Natale, e del suo Babbo in particolare. Immaginatemi nelle vesti di uno psicanalista un po’ particolare…

Babbo Natale si distende sul lettino e chiude gli occhi.

– Ho sognato che mi ritiravo – scandisce, deciso.

Mi stringo nelle spalle. Va sempre peggio, con quel vecchio.

– Di che si tratta stavolta?

Babbo Natale sospira.

– Ho sognato che lasciavo libere le renne e un gruppo di cacciatori in tenuta da yuppie cominciava a sparare per divertimento, abbattendole una dopo l’altra… – mi fa, con aria afflitta.

– Poveri animali!

– Ma quali poveri animali! Lo sa benissimo che da trent’anni uso modelli in plastica!

– Dettagli. Su, vada avanti!

– E poi ho sognato la Befana che si sottoponeva alla chirurgia estetica. L’ho vista entrare in quella maledetta clinica, vecchia, incartapecorita, tutta curva, con la barba, le  mani deformate dall’artrite e all’uscita… era diventata una specie di Belen Rodriguez, tutta curve e moine… – continua, con uno sguardo allupato.

– E allora? Sarebbe il momento buono per cambiare look anche lei…

– Io? Ma per favore! Dunque, ero solo come un cane, senza renne e senza Befana, me ne tornavo a  casa e… sulla porta di casa non trovo due tizi vestiti di nero, con la coppola in testa e degli occhiali a specchio, che mi chiedono… il pizzo, mi chiedono! "Babbo Natale, cacculammu chi tu cu to travagghiu guadagni un tot… e pecciò a nui ni tocca un tantu o misi…" Io cerco di spiegare che lavoro gratis, e quelli mi scoppiano a ridere in faccia. "Francu? Ma a cu voi sputtiri? Vadda cu sapemu chi a Natali si guadagna picciuli. Fozza, danni i soddi da prima rata, si non voi chi…." In pratica, mi minacciano. E allora…

– Allora?

– Allora ho capito che i  due avevano ragione, che ne avevo le scatole piene di fare la vita che faccio. Gli ho dato la giacca rossa, i pantaloni, il cappello, la barba  e le chiavi di tutto e sono tornato me stesso. E come mi sentivo bene, in paradiso! – Termina, con un’aria sognante sul viso.

Sospiro. Questa volta sarà durissima convincere il vecchio. Anche perché, l’anno prossimo… chi mi porterebbe i regali di Natale?

Written by matemauro

24-12-2008 at 00:05

Pubblicato su umorismo

Edith Piaf

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Non, je ne regrette rien

La vie en rose

L’hymne á l’amour

Édith Piaf, pseudonimo di Édith Giovanna Gassion (Parigi, 19 dicembre 1915 – Grasse, 11 ottobre 1963), è stata una cantante francese, grande interprete del filone esistenzialista e di quello realista.

Nota anche come "Passerotto", come veniva amorevolmente chiamata (passerotto infatti nell’argot parigino si dice piaf), ha deliziato i musicofili di tutto il mondo tra gli anni trenta e sessanta. La sua voce, caratterizzata da mille sfumature, era in grado di passare improvvisamente da toni aspri e aggressivi a toni dolcissimi; sapeva far percepire con il suono della sua voce, in modo unico e singolare, tutti i sentimenti, dalla gioia alla tristezza, dalla dolcezza all’arrabbiatura. È la cantante che, con le sue canzoni, ha anticipato il senso di ribellione e di inquietudine che contraddistinse quasi tutti gli intellettuali del suo tempo come Juliette Greco, Roger Vadim, Boris Vian, Albert Camus ecc. Di molte delle sue canzoni fu lei stessa a scrivere i testi, tanto che sono quasi tutte autobiografiche e forse per questo tanto magistralmente interpretate.

La sua vita fu sfortunata, costellata da tutta una serie di avvenimenti negativi: incidenti stradali, coma epatici, interventi chirurgici, delirium tremens e anche un tentativo di suicidio. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche la si ricorda piccola e ricurva, con le mani deformate dall’artrite, e con radi capelli; soltanto la voce era inalterata e splendida come sempre.

Written by matemauro

22-12-2008 at 21:55

Pubblicato su edith piaf, musica

Babbo Natale

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Oggi ho acquistato un pc portatile. Ho un grosso problema: quello di farci convivere insieme quello vecchio. Perciò ho pochissimo tempo da dedicare al blog, ma, per non lasciare a bocca asciutta i miei affezionati lettori, per la seconda volta nella breve storia di questo blog, riciclo una cosa vecchia, ma che spero non tutti conoscano:

La vera storia di Babbo Natale.

slitta-babbonatale

Esiste veramente Babbo Natale? Ecco un divertente ragionamento scientifico che spiega il mistero…

1) Nessuna specie conosciuta di renna può volare. Si calcola però che ci siano circa 300.000 specie di organismi viventi ancora da classificare. Benché la maggior parte di questi siano insetti o germi, ciò non esclude completamente la possibilità che esistano renne volanti, che peraltro soltanto Babbo Natale stesso sembra aver visto.

2) Esistono al mondo circa due miliardi di ragazzi, ossia persone al di sotto dei 18 anni. Tuttavia, dato che sembra assodato che Babbo Natale non visiti ragazzi ebrei, musulmani, indù, buddisti ecc., questo riduce il lavoro a circa il 15% del totale (378 milioni, secondo l’Ufficio per le Popolazioni). A una media di 3,5 ragazzi per abitazione, tutto ciò comporta un totale di 91,8 milioni di case. Assumiamo che ci sia almeno un bravo ragazzo in ogni casa.

3) Grazie ai fusi orari e alla rotazione della Terra, Babbo Natale avrebbe circa 30 ore a disposizione per il suo lavoro, ponendo, come sembra logico, che viaggi da Est verso Ovest. Questo comporterebbe 822,6 visite per secondo. Il che significa che, per ogni casa di cristiani con almeno un bravo ragazzo, Babbo Natale avrebbe circa 1/1000 di secondo per:

– trovare parcheggio (e questo è semplice, dato che può parcheggiare sul tetto e non ha problemi di divieti di sosta);

– saltare giù dalla slitta;

– scendere dal camino (dove c’è; dove non c’è avrà bisogno di un lasso di tempo maggiore, dovendo entrare dalla porta)

– riempire le calze, o altro contenitore all’uopo preparato;

– distribuire il resto dei doni sotto l’albero;

– mangiare ciò che i bambini mettono a sua disposizione (assumendo a tal proposito che Babbo Natale sia dotato di un appetito paragonabile a quello di un buco nero e sia astemio, o comunque capace di reggere una quantità infinita di alcool, perché in caso contrario sarebbe morto di indigestione già dopo poche fermate, o comunque sarebbe ubriaco fradicio…);

– risalire su per il camino;

– rimontare sulla slitta;

– decollare per la successiva destinazione.

Dando per scontato che ciascuna di queste 91,8 milioni di fermate sia distribuita omogeneamente sulla Terra (cosa che è ovviamente falsa, ma che per semplicità di calcolo assumiamo come vera), stiamo parlando di uno spazio medio percorso tra due fermate di circa 1,15 km, e di un viaggio totale di 112 milioni di km, senza contare le fermate per fare quello che la maggior parte di noi fa almeno un paio di volte nelle 30 ore. Dal che si trae che che la slitta di Babbo Natale si muoverebbe a 962 km/sec, cioè 1.000 volte la velocità del suono. A titolo indicativo, il più veloce veicolo costruito dall’uomo, la sonda spaziale Ulisse, viaggia alla misera velocità di 43,8 km/sec. Una renna normale può raggiungere al massimo una velocità di 30 km/h.

4) Il carico della slitta fornisce un altro aspetto interessante. Ipotizzando che ogni bravo ragazzo non ottenga nulla più di un Lego medio (900 g circa), la slitta dovrebbe trasportare 321.300 tonnellate, senza contare Babbo Natale stesso, che in tutte le raffigurazioni viene descritto sovrappeso. Su terreno, una renna convenzionale può trainare 136 kg. Anche ammettendo l’ipotesi che le renne volanti (vedere punto 1) possano trainare un peso dieci volte superiore a quello di una renna normale, non basterebbero otto renne, e neppure nove. Ci sarebbe bisogno di 214.200 renne. In tutto, il peso lordo totale ammonterebbe a 353.400 tonnellate, senza contare la slitta! Si noti, a titolo di comparazione, che questa massa equivale a quattro volte quella della Queen Elizabeth II, la più grande nave mai costruita dall’uomo.

5) Le oltre 353.000 tonnellate, spostandosi a 962 km/sec, creerebbero un enorme attrito con l’atmosfera; questo provocherebbe il riscaldamento delle renne, analogamente a quanto avviene al rientro di un’astronave. La prima coppia di renne assorbirebbe 4,3 quintilioni di Joule di energia. Al secondo. Per ciascuna renna. In breve, si volatilizzerebbero praticamente all’istante, esponendo le renne alle loro spalle e creando un assordante bang supersonico nella loro scia. L’intero gruppo di renne verrebbe vaporizzato in 4,26 millesimi di secondo. Babbo Natale, contemporaneamente, ove non venisse vaporizzato all’istante anche lui, sarebbe soggetto a una forza centrifuga pari a 17.500 volte quella di gravità. Un Babbo Natale di 113 Kg, che stando alle raffigurazioni standard sembrerebbe comicamente magro, verrebbe inchiodato al fondo della slitta da una forza di 1.957.420 kg.

Se ne conclude che, se mai Babbo Natale ha tentato di consegnare regali alla vigilia di Natale, ora è morto.

Written by matemauro

20-12-2008 at 21:02

Pubblicato su umorismo

La scimmia tossica

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scimmia_vignetta

– Tu non hai visto mai  una scimmia tossica…

– Scusa, che vuoi dire?

– Voglio dire una vera scimmia tossicodipendente.

– Ma di che scimmia vai cianciando?

– Dove lavoravo prima, una grande industria farmaceutica, sperimentavano nuove sostanze, cercavano medicine, solo che a volte non erano proprio medicine, ma sostanze che potessero produrre effetti speciali…

– Effetti speciali, mi piace…

– Sì, piacciono a tutti, anche alle cavie. Le mantenevano in quella che chiamavano "fase blu"…

– Blu?

– Per via delle luci che c’erano nella gabbia. Credo servissero a tranquillizzarle, non so bene. In realtà le cavie erano stordite, narcotizzate dopo gli esperimenti, prima di morire, o paralizzate dalla paura, una cosa così…

– E la scimmia tossica?

– Sì, la scimmia tossica… stava in una gabbia da sola. Le avevano scoperchiato la testa.

– Vuoi dire…

– Così… swosh, con una spada. Poi le avevano infilato dei fili nel cervello, e dei tubicini nel corpo, collegati a una macchina che lei non poteva vedere. La macchina stava fuori dalla gabbia, e la riforniva di qualche droga che aveva cominciato a prendere quando era arrivata nella fase blu, prima che…

Swosh…!

– Sì, così… e nella gabbia della scimmia avevano messo due bottoni, uno rosso e uno verde. Lei aveva imparato a premerli con le zampe. Se schiacciava il rosso, nel tubo passava una sostanza nutriente, se schiacciava il verde, succedeva l’altra cosa. Qualcuno la teneva sotto controllo: all’inizio schiacciava il rosso spessissimo e il verde una volta al giorno. Poi mano mano, premeva sempre meno il rosso e sempre più il verde: due, tre, dieci… alla fine schiacciava solo quello, ogni quarto d’ora, l’ultima volta con il muso, quando ci cadeva sopra, stecchita, morta di fame, chissà…

– Overdose.

– Sì.

– E quanto poteva durare?

– Una settimana al massimo, mai di più.

– Una settimana da favola, però… Credi che potresti procurartene un po’?

– Di che cosa?

– Di quello che davano alla scimmia tossica.

– Scherzi? Sono anni che ti fai di quella roba…

Gli gettò in grembo il telecomando del televisore… il pulsante verde luccicava…

Written by matemauro

19-12-2008 at 23:51

Pubblicato su racconti

Mezzogiorno di firewall

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mezzogiorno

Il racconto è scritto utilizzando termini dell’informatica, simili a parole italiane, contrassegnati in neretto.

Il timer a Dasd City by-pass tranquillo. Dopo l’ultimo processor a un ladro di polling tutto sembrava quiet. Nel saloon si giocava a card. Appoggiato al benchmark, Job mangiava page e struct e sorseggiava static un punch, fumando una Cisc. Dal cinturone pieno di cartridge pending una Browsing 48K. Aveva in program di vedersi un film. L’host stava pulendo con uno scratch una picture del Generale Cluster. All’improvviso… shutdown! Si open la port ed enter Blank, in status alterpoint il digit e disse:

– Ehi Job, brutto figlio di put, mi hanno detto che fai il default con Key, la mia ragazza! Vuoi una purge?

Output di qui e non mi rompere le labels else ti unpack il queue! – response Job, il viso di molti colour, all’inquiry di Blank.

– Non fare il buffer, ti pare il modem di parlarmi?- disse Blank.

– Mettiamo le cause in Sinclair e non fare il phase!- lo interrupt Job – Ho fatto il default con Key perché tu la lasci sempre stand-alone e io la console. E lo farò finché mi farà Commodore!

Ma aveva fatto l’accounting senza l’host… Improvvisamente, Vtocvtoc!… Enter gli otto fratelli bit della banda Byte, amici di Blank, uno dei quali invalid, che avevano sentence tutto. Job li view con la code dell’occours. Gli dissero:

– Ci display per te, ma ti faremo passare un brutto Roscoe perché sei un uomo senza password!

Job control la situazione, poi estrasse la sua 48K, la pointer contro di loro e fece dumpdump! Input in quel momento Key, la ragazza di Blank, che crash colpita da Job. Questi ci rimase come un unlock. Invano tentarono di rename la power giovane, la stand-by su un package abbastanza software e la fasciarono con delle abend, ma ormai la sua sort era sign-off. Chiamarono allora il prete di una vicina Chapel, padre Priority, che la until con l’olio send; ma lei, prima di memory, rivolta a Job disse, con un file di voice:

Through, through…! Caro amico, questa è la EOF; sii Fortran; era Sincom stare con te, dammi un ultimo batch!…

Job acconsentì e la Basic. Appena terminal, Key expired, envelope al cobol di Job, diventando hardware senza possibilità di restart… e la sua anima ascending al Cyl.

– Il delete non payroll…- mormorò l’host scrolling la test. – Meglio che ve ne and, prima che arrivi l’inspect Close

Tirava un vento flag. Il disk della luna si era retry fra le nuvole. Blank, Job e i fratelli Byte order all’host un drum, tolsero il tape e bevvero un source per uno. Poi tutti float di fuori; sysin camminarono con passo floppy e le mani in task, lasciandosi alle spalle il saloon e la bella more Key… Intanto init a piovere e si separarono alla search di un recovery per la not, ognuno per la sua destination.

La storage di Key è finita. Se return a Dasd City, record di visitare la tomba di Key per depending un mazzo di overflow.

Requiesce in Pause.

Trovata in rete, ampliata e adattata…

Written by matemauro

18-12-2008 at 21:51

Pubblicato su umorismo

Serial killer

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pistola

Prendo la mira con calma, inquadro bene l’obiettivo, poi aumento la pressione del dito sul grilletto. La vittima si dibatte un attimo, poi cade a terra rantolando.

Non provo nessun genere di rimorso. Sono di ghiaccio, come ogni killer che si rispetti, non tradisco alcuna emozione. Forse dai miei occhi, socchiusi per prendere meglio la mira, trapela un vago senso di soddisfazione, niente più: un guizzo, una luce rapidissima, come il flash di una macchina fotografica.

Mi guardo intorno, mentre riarmo. "E ora, sotto a chi tocca. Niente di più facile. Un lavoro semplice, ma necessario. Una bella ripulita da questa marmaglia che ci assedia ogni giorno. Arrivano a centinaia, ma che dico, a migliaia, e nessuno fa nulla per arrestare questo flusso. Il buon cittadino deve difendersi da sé, quando lo stato non se ne cura."

Un altro colpo, un’altra vittima. "Mi sto divertendo, anche se devo ammettere che la soddisfazione passerà presto. Oggi il problema è quasi risolto, ma domani si ripresenterà, tale e quale. E se non ci fossi io che faccio qualcosa, che dò il buon esempio, tutto svanirebbe nell’indifferenza. Tutti che si lamentano, sopportano, i pecoroni, ma non alzano un dito; magari ce ne fossero di più di persone come me, pronte a sacrificarsi per il bene comune!"

Riarmo, premo il grilletto… e un’altra vittima si dibatte negli spasmi dell’agonia. "A volte mi domando il perché di questo lassismo, questo sopportare e non rimediare da sé. Sembra che tutti dicano: questi parassiti ormai ci sono, altri ancora ne arriveranno, è impossibile porre rimedio. Questo è il modo di ragionare tipico degli smidollati, gente senza nerbo, esseri amorfi, pronti a criticare tutto e tutti, ma che quando è il momento di agire preferiscono rimanere nell’ombra. È bello delegare le faccende sporche agli altri, vero?"

Riarmo, ancora un colpo, altra vittima. "Certo, non fa piacere sporcarsi le mani, ma qualcuno deve pur farlo. In che razza di civiltà viviamo, se siamo disposti a subire passivamente queste aggressioni quotidiane, questo stillicidio di succiasangue, questa invasione di mangiapane a tradimento, questa continua molestia che ci avvelena l’esistenza?"

Mi sposto all’altra finestra della stanza, scruto attraverso i vetri: di fuori c’è il massimo silenzio, così come in casa, mentre le vittime, ignare del loro destino, continuano la vita di tutti i giorni, come se nulla stesse accadendo, all’oscuro del loro tragico fato.

Riarmo, un altro colpo e un’altra vittima.

Mi mordicchio nervosamente il labbro. "Questa operazione di pulizia – ma direi anche di polizia – mi sta venendo a noia; ancora una e poi smetto, almeno per oggi. Vorrà dire che quanto meno questa notte potrò dormire il sonno del giusto. Tanto, non è che oggi possa finire questo sporco lavoro."

Un altro colpo, e l’ennesimo cadavere piomba a terra.  Dandomi un’occhiata intorno, mi stupisco: "Porca miseria, altre due! Mi sono sfuggite, ma adesso provvedo."

Faccio per riarmare, ma inutilmente, ho terminato le munizioni. Mi assale un senso di rabbia, di impotenza e mi sfogo con un urlo:

– Lucia, è finito il flit e ci sono ancora due zanzare in giro!

Written by matemauro

16-12-2008 at 23:13

Pubblicato su racconti, umorismo