Un articolo di Eric Hobsbawm
Siamo così passati attraverso due tentativi pratici di realizzare questi sistemi nella loro forma pura: da un lato, le economie a pianificazione statale centralizzata di tipo sovietico e, dall’altro, l’economia capitalistica basata sul libero mercato, esente da qualsiasi restrizione e controllo. Le prime sono crollate negli anni ottanta, e con loro i sistemi politici comunisti europei; la seconda si sta decomponendo davanti ai nostri occhi nella più grande crisi del capitalismo globale dagli anni trenta a oggi. Per certi versi, questa crisi è più profonda di quella, perché a quei tempi la globalizzazione dell’economia non era così sviluppata come oggi e perché la crisi non colpì in pieno l’economia pianificata dell’Urss. Ancora non conosciamo gravità e durata della crisi attuale, ma non c’è dubbio che essa segnerà la fine di quel tipo di capitalismo che si è imposto nel mondo dai tempi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
Nessuno pensa seriamente di ritornare ai sistemi socialisti di tipo sovietico; non soltanto per le loro carenze politiche, ma anche per la crescente indolenza e inefficienza delle loro economie (anche se questo non deve portarci a sottovalutare le loro impressionanti conquiste sociali ed educative). D’altro canto, finché il mercato libero globale non è esploso l’anno scorso, anche i partiti socialdemocratici e quelli di sinistra moderata dei Paesi capitalistici del settentrione del mondo e dell’Australasia si erano impegnati sempre più a magnificare le sorti del capitalismo a mercato libero. Effettivamente, dal momento del crollo dell’Urss a oggi, non ricordo nessun partito o leader che denunciasse il capitalismo come cosa inaccettabile. E nessuno era così legato alle sue sorti come il New Labour, il Partito laburista britannico. Nella sua politica economica, tanto Tony Blair che Gordon Brown (e questo fino all’ottobre del 2008) potevano essere definiti senza alcuna esagerazione come dei Thatcher in pantaloni. E lo stesso vale per il Partito democratico degli Stati uniti.
L’idea fondamentale del New Labour, a partire dal 1950, era che il socialismo non fosse necessario, e che si potesse aver fiducia che il sistema capitalistico avrebbe fatto fiorire e avrebbe generato più ricchezza di ogni altro sistema: i socialisti non avrebbero dovuto far altro che garantire una distribuzione egualitaria. A partire dal 1970, però, la crescita accelerata della globalizzazione creò sempre più difficoltà e sgretolò fatalmente la base tradizionale del Labour e, in verità, anche le politiche di qualsiasi partito socialdemocratico. Molte persone, negli anni ottanta, pensarono che se la nave del laburismo non voleva colare a picco (una possibilità reale all’epoca) doveva mettersi al passo con i tempi.
Ma non fu così. Sotto l’impatto di quella che a suo parere era la rivitalizzazione economica thatcherista, il Labour, a partire dal 1997, si bevve tutta l’ideologia, o piuttosto la teologia, fondamentalistica del mercato libero globale. Il Regno unito deregolamentò i propri mercati, vendette le sue industrie al miglior offerente, smise di fabbricare beni per l’esportazione (a differenza di Germania, Francia e Svizzera) e puntò tutto sulla trasformazione del proprio Paese in un centro mondiale di servizi finanziari, e di conseguenza in un paradiso per i riciclatori multimilionari di denaro. Così, l’impatto reale della crisi mondiale sulla sterlina e sull’economia britannica sarà probabilmente più catastrofico di quello che essa avrà sulle altre economie occidentali e ciò renderà, probabilmente, la guarigione più difficile.
Si potrebbe dire che ormai questa è acqua passata, che siamo liberi di tornare all’economia mista e che la vecchia scatola degli attrezzi laburista è qui a nostra disposizione – nazionalizzazioni comprese -, cosicché non dobbiamo far altro che utilizzare di nuovo quegli strumenti che il Labour non avrebbe mai dovuto smettere di usare. Ma questo vorrebbe dire che sappiamo usare quegli attrezzi. Non è così. Da un canto non sappiamo come superare l’attuale crisi. Nessuno, né i governi, né le banche centrali, né le istituzioni finanziarie mondiali, che lo sappia: sono tutti dei ciechi che cercano di uscire da un labirinto dando colpi alle pareti con ogni sorta di bastone, nella speranza di trovare una via d’uscita. D’altro canto, sottovalutiamo il persistente grado di dipendenza dei governi e dei responsabili delle politiche dai dogmi del libero mercato, che tanto piacere hanno loro regalato per decenni. Si sono forse liberati del principio fondamentale per cui l’impresa privata orientata al profitto è sempre il mezzo migliore, perché più efficiente, di fare le cose? Che l’organizzazione e la contabilità imprenditoriali dovrebbero fungere da modelli anche per i servizi pubblici, l’educazione e la ricerca? Che il crescente abisso tra i multimilionari e il resto della gente non sia tanto importante, dopotutto, sempreché tutti gli altri (eccetto una sparuta minoranza di poveri) stiano un po’ meglio? Che ciò di cui ha bisogno un Paese, in ogni caso, è il massimo di crescita economica e di competitività commerciale? Non credo che sia così.
*Amartya Sen è un economista indiano, ha ottenuto il Nobel per l'economia nel 1998.
Letto tutto….Che dìre…?Che uno storìco dìmostra dì capìre dì pìù dì un economìsta…?E dal basso della mìa ìgnoranza ìn materìa mì sembra dì capìre che è così….Forse perche uno storìco sà le radìcì dì cìò che cì ha portato a questo stato dì cose…?Gran bel artìcolo… anche se terrìfìcante per certì… per moltì versì….Bacìo grande….
aps07
29-04-2010 at 20:16
Come non inchinarsi di fronte a Eric Hobsbawm e le sue tesi?Tuttavia – oggi – preferisco il pragmaismo e l'approcio più diretto di Armatya Sen non da ultimo la sensibilità di avere rimesso nell'agenda economica la 'felicità' dell'individuo come bene inalienabile.sherafelicitàvòcercando
sherazade2005
29-04-2010 at 22:18
insomma…il secolo "è" breve!
tamango
29-04-2010 at 22:44
Articolo di una lucidità eccezzionale… lo diceva anche Montanelli che un capitalismo senza regole è come dire 'Libera volpe in libero pollaio'… come dice Hobsbawn e come disse lo stesso Indro, serve un capitalismo regolamentato dallo stato sovrano… una sorta di prole generata da capitalismo e socialismo direi…
donburo
30-04-2010 at 12:18
E pensare che io non sapevo neppure dell'esistenza di questa grande mente…. ma quanto ignorante sono?Quanti punti ho perso?Dove sono finita nella scala delle scala delle tue amicizie?E soprattutto….. farò ancora parte delle tue amicizie, dopo questa confessione?
azalearossa1958
30-04-2010 at 15:11
@Aps07: uno storico è forse più lungimirante di un economista… in genere, eh? Ma leggiti su Wiki l'articolo su Amartya Sen e vedrai che non sempre è così… @Shera: e infatti lo stesso Hobsbawn, nei suoi ultimi lavori che riguardano l'economia (e anche in questo, per la verità…), tiene in massimo conto le teorie di Sen… @Tamango: dunque il XXI secolo sarà "brevissimo", secondo te… @Donburo: e se un liberale e un marxista giungono alla stessa conclusione, mi sa che c'è del marcio in Danimarca… @Azalearossa: e mica tutti sono tenuti a conoscere Hobsbawn! Come, ahimé, non tutti conosciamo tutti i dialetti…
MauroPiadi
30-04-2010 at 16:16
Tutti tutti no…. ma adesso conosci un po' di lombardo… non ti senti più ricco?
azalearossa1958
30-04-2010 at 16:33
sen sen sen….sen sen sen accidenti era 'scion scion scion' altro film altra musicaOggimi sentirei piu' da Lilli e il vagabondosherahappyend
sherazade2005
30-04-2010 at 17:03
ps non sono d'accordo sulla priorità del pensiero storico rispetto alle analisi (e dunque le linee guida da seguire) che produce un economista avendo a disposizione parametri immediati e non storicizzati sherasuvviafactanonverba
sherazade2005
30-04-2010 at 17:09
Invece di lasciarti un altro commento, ti lascio un BUON PRIMO MAGGIO.
cugpref
30-04-2010 at 17:44
Ho sentito anch'io voci della fine del socialismo e del liberismo, non so …io una volta credevo nel socialismo, non quello sovietico, potrei dirti ad una più giusta distribuzione da parte del governo di servizi….nidi aziendali, case di riposo per gli anziani che non costino un' enormità,un più per tutti, ma gira un'aria di tramontana….A presto Lietta
liettapet
30-04-2010 at 18:27
gran bel post, molto interessante e molto…. preoccupante, data l'aria che tira
tittidiruolo
30-04-2010 at 19:35
Buon Primo Maggio!
azalearossa1958
01-05-2010 at 08:46
Caro Mauro, aspetto la tua risposta ed un commento sul mio blog…grazie Lietta
liettapet
01-05-2010 at 09:16
Buon week… torno lunedì a leggerlo…: )))))
smilepie
01-05-2010 at 10:31
@Azalerarossa: buon 1° maggio anche a te! @Shera: ma non era Chain, chain, chain… chain of fools (Aretha Franklln, 1967), dove peraltro parecchi scambiavano quel chain per shame?!?!?!
@Liettapet: non credo, così come Hobsbawn, che bastino le cose che indichi tu… c'è bisogno di ripensare quali siano i bisogni delle persone e a cosa corrispondano i concetti moderni di "soddisfazione" e "felicità", e in questo senso Amantya Sen, del quale ti consiglio di leggere cosa si trova in rete, ha idee molto chiare…
MauroPiadi
01-05-2010 at 14:25
Ho letto Il secolo breve, lui è sempre stato molto critico nei confronti di quei governi che negli anni '80 furono osannati un po' da tutti (in primis quello americano e quello inglese); credo che il modello laburista e le socialdemocrazie scandinave per lui (e per noi) siano il modello da seguire……la domanda che dovremmo porci èDeve lo Stato intrevenire sull'economia ? E con quale metodo ?La risposta per me è sì…poi dopo viene il difficile….Ciao
corradovecchi
04-05-2010 at 13:51